A cura di Federico Barzi, Vittoria Lorenzelli, Alessandro Madau, Antonella Milano, Valeria Russo – Master in Risorse Umane e Organizzazione 2016-2017
Scarica l’intervista a Wanda Gobbi, Store HR Manager di IKEA, in pdf da Slideshare
Formazione umanistica in Cattolica di Milano; cambiamento dal vecchio al nuovo ordinamento; magistrale ad indirizzo sperimentale: sono questi gli elementi che hanno avvicinato sempre di più Wanda Gobbi al vasto ambito delle Human Resources. Sviluppata una crescente passione per la comunicazione d’impresa, attualmente occupa la posizione di Store HR Manager per IKEA. Le esperienze professionali precedenti che le hanno permesso di arricchire ulteriormente il suo profilo sono l’iniziale stage in Alstom come People Development Jr Specialist; il ruolo di Recruiting Specialist per NetArtis, e la più recente e durevole posizione come HR Manager per la nascente Start up Groupalia.
Groupalia, tra le principali realtà nell’ambito del social shopping, è un’azienda specializzata nella vendita di offerte per il tempo libero. Fondata nel 2010 a Barcellona, tre anni dopo l’azienda vende la sua filiale spagnola ad una cordata di imprenditori guidata dal Country Manager Andrea Gualtieri, divenendo a tutti gli effetti italiana.
Intervistando Wanda Gobbi è emerso nell’immediato quanto possa essere formativo per un HR iniziare a lavorare in un contesto aziendale nascente e caratterizzato da maggiore instabilità, per poi arrivare a spalle più larghe ad operare in un contesto già consolidato.
Iniziamo chiedendo a Wanda quale sia stata la leva motivazionale che l’ha spinta a lavorare in una Start up.
“È stata una proposta che non avrei potuto rifiutare, poiché essendo più giovane di adesso e con minore esperienza mi dava la possibilità di divenire protagonista di un progetto straordinario. Non avevo esperienza di Start up, e non avevo la benché minima idea di cosa fosse il mondo del social shopping, anche perché nel 2010 il social shopping praticamente non esisteva. Quando però mi hanno contattata, hanno attirato la mia curiosità dicendo: «Stiamo cercando il quinto dipendente di una Start up italiana, con alle spalle una multinazionale spagnola attiva nel settore del social shopping. Se la sente di scommetterci?». Al tempo non riuscii a capire quale fosse l’offerta nella sua complessità; tuttavia pensare di poter fare la differenza fin dalle prime battute mi ha motivata tantissimo. L’opportunità di mettere le mani in una Start up è un privilegio […]”.
Entrata in Start up con il ruolo di HR manager, Wanda ha avuto modo di confrontarsi fin da subito con un contesto in continuo mutamento. “L’esperienza in Groupalia mi ha permesso di vedere come un’azienda nascente sia capace di cambiare riorganizzazione di continuo. In effetti nel corso del mio operato l’azienda si è staccata dalla casa madre spagnola diventando qualcosa di diverso rispetto alle premesse inziali. Anche dal punto di vista delle risorse umane il passaggio è stato dal mettere in piedi un’azienda al farne una grossa riorganizzazione […]. Le esperienze sono state tutte molto formative ed interessanti, inoltre devo dire che non sono stata sola in questo ma ho avuto la fortuna di lavorare con partner davvero notevoli”.
Nel corso del suo operato Wanda ha avuto modo di sperimentare quanto le attività dell’HR cambino continuamente a seconda del periodo di maturità dell’azienda. In effetti, durante l’intervista emerge quanto il contesto tumultuoso tipico di una Start up l’abbia portata a ridimensionare le proprie mansioni. “La mia attività principale consisteva nell’essere un partner dell’amministratore delegato, che poi è diventato proprietario dell’azienda. Mi riguardava tutto ciò che aveva a che fare con le persone, quindi sia aspetti di organizzazione del lavoro, sia aspetti di gestione delle singole persone. All’epoca c’era un direttore generale che era competente, oserei dire, su qualsiasi cosa […]. Lavoravamo con dei consulenti esterni molto bravi, quindi, mentre negli aspetti relativi al recruitment e alla costruzione della cultura aziendale ho potuto contare sulle mie forze, nella successiva fase di riorganizzazione mi sono adattata comunque bene perché a supportarmi c’erano delle figure valide”.
Una metafora particolarmente esaustiva utilizzata per descrivere il contesto della Start up è stata quella del pronto soccorso. “Ero la rianimatrice e, insieme al mio team ci affannavamo come pazzi attorno a quel tavolo chirurgico dove il nostro paziente, l’azienda, un giorno stava meglio e un giorno peggio […]”.
A tal proposito le abbiamo chiesto quale sia stata durante quel periodo la situazione più al limite cui ha dovuto far fronte. “L’esperienza al limite è stata non avere una prospettiva di lungo termine, nel senso che nella prima fase era tutto un selezionare, formare, inserire, lanciare nuove iniziative, e quindi c’era sempre un livello di motivazione elevatissimo, legato proprio alla nascita di nuovi progetti. Tuttavia, tanti ne nascevano, altrettanti ne morivano perché in una Start up questo succede spesso. Era tutto un prepararsi per andare in scena, però non tutti gli spettacoli vedevano il palco […]. I momenti di tranquillità non me li ricordo in questi cinque anni. Perché all’inizio si cresceva molto, poi però bisognava ridurre altrettanto; quindi tranquilli non siamo stati mai […]. Sicuramente molto diverso rispetto al fare risorse umane oggi […]”.
Cogliendo l’incipit su quanto sia stato diverso per lei fare l’HR in una Start up rispetto all’attuale ruolo in un’azienda consolidata, chiediamo a Wanda quali siano state alla fine le motivazioni che l’hanno portata a cambiare strada. “Come ho già detto quello che mi mancava lì, ma più che alla Start up attribuirei la responsabilità al settore molto dinamico in cui era inserita, era la prospettiva di medio-lungo termine […]. Questo probabilmente mi ha fatto smarrire progressivamente la convinzione con cui ero partita. Lavoravo continuamente su progetti la cui evoluzione era difficile da prevedere e questo contesto dopo un po’ ha iniziato a sembrarmi paradossalmente ripetitivo […]”.
Se da un lato ci sono state una serie di motivazioni che l’hanno portata a cambiare posizione, l’esperienza da ‘codice rosso’ è stata senz’altro formativa nell’aiutarla a ricoprire con maggiore prontezza il ruolo attuale. “Sicuramente l’aver lavorato in un contesto del genere mi ha preparata ad essere pronta a tutto, in quanto un’esperienza di questo tipo abitua ad una velocità di apprendimento che difficilmente avresti senza un tale percorso formativo […]. Qualcuno potrebbe poi smentirmi su questo, ma credo che l’aver avuto un’esperienza così intensa mi abbia permesso di entrare velocemente in empatia con la nuova azienda”.
In aggiunta ai vantaggi, il passaggio da Groupalia a IKEA ha permesso alla Manager anche un confronto rispetto alle differenze principali concernenti i rispettivi ambiti di lavoro. “Devo dirvi che il fatto di passare da un’azienda essenzialmente digitale, ad una della grande distribuzione a volte mi fa scalpitare. In Groupalia l’utilizzo delle tecnologie più avanzate era totalmente sdoganato, in IKEA la gestione non è solo digitale. Si parla di una realtà completamente diversa. A volte penso che se ci fossero le condizioni oggettive per portare un po’ dell’esperienza della Start up nelle multinazionali ne gioverebbero tutti. Certo non è così semplice: quando ti trovi a muovere una macchina di 7.000 persone solo in Italia con storia, valori, responsabilità sociale, nonché un’imponente struttura, non puoi permetterti di avere la libertà che hai in una Start up; quindi non so fino a che punto si possano velocizzare alcuni processi […] A me la Start up manca per tanti aspetti, però mi rendo conto che se riesci a mantenere quella mentalità e a portarla all’interno di un grande Gruppo è un grosso vantaggio”.
Nell’attuale ruolo di HR manager in IKEA Wanda descrive la sua posizione, ponendo anche attenzione sui concetti di staticità e resistenza al cambiamento, totalmente inesistenti in una Start up. “Prima era un “one woman show”, quindi anche se avevo un paio di persone che collaboravano con me, di fatto ero da sola su tutto. Adesso sono il manager di una squadra di specialisti […] quindi ho un ruolo più manageriale che mi permette di non dover mettere le mani su tutto. Esiste una strategia globale, tradotta poi all’interno della realtà di Paese, dove ogni manager ha il compito di trasformarla in un “action plan” compatibile con le caratteristiche del proprio store. Io lo faccio per la parte relativa alle risorse umane, quindi so che le priorità di IKEA Italia sono X, Y, Z e devo trovare il modo di tradurre queste priorità all’interno del mio negozio, di trasmetterle nella maniera corretta alle persone […]. Ad esempio se si decide di aumentare la mobilità internazionale, allora bisogna cercare di portarla all’attenzione dei lavoratori del negozio. Ora detto così sembra tutto molto semplice. In realtà la sfida maggiore è cercare di abilitare il cambiamento: non è facile per niente. Rispetto al contesto Start up, la multinazionale è più radicata nel tempo, ha maggiore stabilità. All’interno della Start up questa resistenza non ce l’hai, perché vivi una situazione in cui sei continuamente sollecitato e stimolato. Una situazione invece che è fortemente stratificata, in cui magari per molto tempo non è cambiato nulla, ogni novità che cerchi di implementare deve ovviamente superare le resistenze al cambiamento. Oggi è un lavoro molto più di management people, quindi meno di progetto isolato e più di gestione a medio-lungo termine”.
Al di là di quello che ci si potrebbe aspettare, nel corso dell’intervista emerge quanto la stratificazione e la stabilità caratterizzanti un’azienda consolidata rispetto ad una nascente, non rallentino comunque il lavoro. “Devo dire che, sebbene mi aspettassi un contesto molto più lento in IKEA, in realtà non è per niente così. Nel commercio, i tempi li detta il cliente. Pertanto c’è molta differenza tra fare il manager di negozio e fare il manager in ufficio. Quando sei in negozio la priorità è appunto il cliente. Un esempio banalissimo: se c’è coda in cassa, cerco velocemente una soluzione ottimale per il negozio, ma non escludo di andarci di persona […]. Posso quindi dire che in un anno e tre mesi che sono qui non ricordo un giorno in cui mi sia permessa il lusso di avere poco da fare. Esattamente come non succedeva in Groupalia”.
Data dunque la ricca esperienza di Wanda, maturata in contesti diametralmente differenti, viene da chiederci quali secondo lei sarebbero le competenze e attitudini ‘universali’ che un HR manager dovrebbe necessariamente avere. “Credo che esistano tanti modi diversi di occuparsi di risorse umane. Penso però che le caratteristiche comuni che un HR deve avere, sono legate ampiamente all’empatia e alla capacità di comprendere il contesto nel quale va ad operare. Ad oggi ho lavorato in quattro aziende diverse, e sono tutte e quattro molto differenti per settore, dimensione, caratteristiche, storia e via dicendo. Anche dal punto di vista del contesto, e di conseguenza delle persone che ci lavorano, lo spirito di adattamento è importante perché è il tuo modo di affrontare qualunque problematica. Se non tieni conto della realtà nella quale vai a lavorare sarai sempre un HR magari super specialista e competente, però poco empatico e di conseguenza poco partner del business aziendale. Poi direi anche l’orientamento al risultato. Questo perché quando lavori all’interno di un’azienda non sei propriamente l’unico attore che viene coinvolto nelle decisioni che impattano sul business […]”.
Mantenendo l’attenzione sul bagaglio di competenze che secondo Wanda fanno di un HR manager la chiave di successo, concludiamo la nostra intervista chiedendole alcuni consigli che secondo lei potrebbero aiutarci ad avvicinarci con maggiore consapevolezza e prontezza al mondo del lavoro. “Il mondo delle risorse umane è una realtà molto diplomatica. Il mio consiglio è dunque di essere il più diplomatici possibile perché vi aiuterà sicuramente; sia nella relazione con i vostri pari, sia nella relazione con il vostro settore professionale, e questo a prescindere dall’azienda in cui andrete a lavorare. Però vi dico che se volete avere successo con le persone, quindi con i gruppi che vi ritroverete a gestire, dovete essere prima di tutto onesti. L’onestà intellettuale nel fare questo mestiere… a volte non paga subito, ma alla lunga con le persone ripaga sempre. Le persone capiscono quando vuoi portarle dalla tua parte a tutti i costi, e una volta che l’hanno capito non ti credono più e non ti seguono. Quindi se vuoi portarti dietro il gruppo, e in alcuni casi portarti dietro tutta l’azienda, devi essere realmente convinto di quello che stai dicendo; lo devi fare con estrema onestà. Meglio alzare la mano e dire «io questa cosa non riesco a farla perché non ne sono convinto», piuttosto che cercare in tutti i modi di metterla in pratica ottenendo risultati scarsi. È il mio consiglio personale, poi non so quanto questo vi permetterà di fare una carriera folgorante. Sicuramente vi consentirà di essere sempre riconosciuti e stimati dalle persone con cui state lavorando”.
Onestà, empatia, orientamento al risultato e competenze tecniche. Sono queste le caratteristiche sulle quali la Manager ha voluto soffermare il suo sguardo, portandoci a riflettere su quanto il ruolo dell’HR manager possa variare a seconda del contesto e della struttura aziendale.
Arricchiti dai suoi consigli e dalla sua esperienza, concludiamo con un suo rimando che nel corso dell’intervista ha suscitato notevoli riflessioni sulla dinamicità di questo lavoro e su quanto sia fondamentale la voglia di imparare, sperimentare e collaborare. Tutto ciò rimanendo concentrati sugli obiettivi e su quello che realmente è importante, sia per la crescita professionale, sia per l’interesse dell’azienda nella quale si opera.
“Il mondo cambia talmente tanto che è la capacità adattiva quella veramente importante […]. Ogni scelta che si prende comporta l’assunzione di rischi […]”.
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