Di: Noemi Billeci, Francesco Saverio Cantatore, Valentina Caputo, Barbara Desiree Conversano, Luca Lotito, Giulia Sinito, Silvia Sinnona del Master in Risorse Umane 2013-2014
Mita Diran, 27 anni, agente pubblicitario di Young & Rubicam, morta nel dicembre 2013 per aver sottoposto il proprio fisico e la propria mente a ritmi lavorativi disumani sottovalutandone i pericoli.
Moritz Erhardt, 21 anni, stagista tedesco presso la sede britannica della Bank of America, morto nell’agosto 2013, perché sottoposto a massacranti orari di lavoro.
Questi sono sicuramente dei casi limite, ma evidentemente la problematica di stress da lavoro correlato è seria, reale e causa di un malessere spesso sottovalutato. Ma che cosa s’intende esattamente per stress da lavoro correlato (SLC)? L’agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro Eu-Osha lo definisce come: “lo stress esperito nel momento in cui le richieste dall’ambiente lavorativo eccedono le capacità dell’individuo nel fronteggiare tali richieste.”
È bene precisare che parlando di stress lavoro-correlato s’intende l’accezione negativa del termine e non la forma di stress positiva e “stimolante” (reazione fisiologica adeguata allo stimolo).
Ma quali sono le conseguenze concrete e i costi materiali e immateriali legati ai rischi psico-sociali sui luoghi di lavoro? Secondo quanto emerso dall’indagine ESENER, relativa ai nuovi rischi emergenti, l’SLC appare causa evidente del calo d’impegno e di attenzione da parte dei lavoratori, con conseguente diminuzione delle prestazioni. A ciò si aggiunge un aumento degli infortuni, degli incidenti e dei quasi-incidenti dovuti ad un abbassamento degli indici di attenzione, un elevato turn-over con conseguente perdita di know-how e di una visibile inefficienza, che porta ad un inevitabile calo di produttività.
Di fronte ad un simile scenario, ci si chiede se sia sufficiente l’applicazione delle normative oppure se sia necessario diffondere una vera e propria cultura aziendale che tenga conto della valutazione del rischio da stress. Secondo il “Manuale Inail” diffuso nel 2011, la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato è parte integrante della valutazione dei rischi e deve essere effettuata obbligatoriamente dal datore di lavoro in collaborazione con i RSPP. A tal fine, è necessario che il processo di analisi del rischio sia il più semplice possibile per individuare una metodologia applicabile ad ogni organizzazione di lavoro, in modo da valorizzare in modo ottimale il contributo di tutti gli attori coinvolti (lavoratori, responsabili e altre figure competenti).
Gli strumenti a disposizione per sondare la percezione dello stress sono identificabili in questionari utilizzabili a partire da un campione di analisi superiore ai 10 lavoratori, focus group applicabili solo in aziende di grandi dimensioni e interviste semi-strutturate per le imprese fino a 5 lavoratori.
Ma dal punto di vista dei lavoratori, come viene percepito questo processo di analisi e documentazione? È fondamentale che la valutazione dello stress lavoro-correlato non venga vissuta come una perdita di tempo, ma come un’opportunità per migliorare la salute del proprio ambiente lavorativo.
Condizioni ideali per una riduzione dello stress da lavoro sono: il rispetto degli orari e dei propri ritmi di lavoro che consentano al lavoratore di avere una certa autonomia organizzativa, nell’ambito dello svolgimento delle proprie mansioni; la gestione delle pause compatibilmente alle esigenze del lavoratore; la facilità nell’accesso alle risorse informative necessarie allo svolgimento del proprio compito; il supporto e il riscontro costruttivo rivolto ai lavoratori; la gestione delle relazioni in modo tale da promuovere e premiare comportamenti positivi, garantendo la correttezza degli atteggiamenti; la compatibilità delle richieste dei lavoratori con il ruolo ad essi assegnato. Tutto ciò deve essere sottoposto ad un monitoraggio costante che renda compatibili le esigenze dei lavoratori con quelle dell’azienda.
Il benessere di un’organizzazione dipende dal contesto, ma anche dalle interpretazioni che i singoli individui attribuiscono al loro “stare” nell’organizzazione. In ogni caso va sottolineato come la condizione di benessere non venga acquisita una volta per tutte, ma debba essere curata di continuo. Dunque è importante richiamare alla mente la relazione diretta che esiste fra benessere e performance, il che significa che maggiori gradi di benessere portano a migliori risultati e, viceversa, minori gradi di benessere psico-fisico conducono ad un peggioramento delle performance, ossia dei risultati prodotti dall’organizzazione.
Alla luce di quanto suddetto, lo stress lavoro-correlato sembrerebbe essere la tendenza attuale e futura in tema di rischio sui luoghi di lavoro, problematica probabilmente amplificata dalla vita frenetica a cui siamo sottoposti, oltre che dalla crisi attuale. Quest’ultima, infatti, ha spinto grandi fasce della popolazione a sottovalutare il problema stress pur di salvaguardare e difendere il proprio posto di lavoro.
È indubbio che sia necessaria una presa di coscienza dei rischi in cui si può incorrere; dunque, non sarebbe forse il caso di individuare figure chiave in grado di innescare processi di diffusione virtuosa della cultura della salute all’interno delle organizzazioni?