Intervista a Gianpaolo Papadia per Right Management
A cura di: Gea Bongiorno, Dario Pettenon, Anna Rando, Federica Rho, Flaviana Scimò – Master Risorse Umane e Organizzazione 2016-2017
Right Management è la società di ManpowerGroup leader nel campo del Career e del Talent Management, in grado di elaborare e offrire soluzioni per la gestione delle risorse umane. La società supporta le organizzazioni nel costruire modelli di leadership, nel trattenere i talenti migliori e nell’aumentare l’efficienza delle risorse. Right Management collabora con le aziende per supportarle nella gestione delle risorse nel corso dell’intero ciclo organizzativo: dallo sviluppo fino alla gestione dei processi di orientamento e di ricollocazione.
In una fredda mattina di Gennaio, in uno dei quartieri più eleganti di Milano, incontriamo il Dott. Giampaolo Papadia, Career Coach & Business Developer per la società Right Management. Laureato in Sociologia presso l’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” nel 1996, ha iniziato sin da subito ad occuparsi di comunicazione interna e formazione inter-aziendale, specializzandosi come formatore. Ha lavorato per dieci anni in svariati contesti aziendali dedicandosi a progetti di cambiamento organizzativo e di formazione manageriale. Dal 2003 ha seguito progetti di outplacement sia individuali che collettivi; presso Temporary Spa si è occupato di selezione del personale.
Qual è il suo ruolo all’interno della società Right Management di Manpower Group?
Ho iniziato la mia carriera professionale a Milano, occupandomi di public relations; poi mi sono dedicato al mondo delle risorse umane facendo varie esperienze in azienda e in consulenza. All’interno di Manpower Group svolgo un’attività di carattere commerciale, seguo sul mercato del lavoro i candidati che ci vengono affidati dalle aziende per supportarli nella ricollocazione, e mi occupo di Sviluppo Commerciale attraverso le azioni di marketing della Lead Generation. Il mio compito è di pianificare un percorso di coaching all’interno del quale il candidato viene seguito nello sviluppo delle sue abilità, con lo scopo di individuare insieme un obiettivo professionale. Penso che, nel mercato del lavoro attuale, sia molto importante che i candidati abbiano delle persone che li supportano durante la fase di ricollocazione.
Quali sono le attività che nella sua pratica quotidiana mette in campo per sostenere e sviluppare la sostenibilità d’impresa?
Mi impegno quotidianamente ad instaurare sia con i colleghi che con i clienti un rapporto privo di schemi mentali rigidi, aperto alla condivisione e in linea con tutti i principi della diversità.
Dal suo punto di vista, ritiene che il suo ruolo possa essere ripensato in vista di una sempre maggiore integrazione tra obiettivi di sostenibilità nelle aziende e sistemi di gestione e sviluppo del personale? Se sì, in quali aspetti?
Secondo me bisognerebbe dare una maggiore strutturazione al ruolo che sto svolgendo. Penso che solo in questo modo potrei dare un contributo maggiore alla vita aziendale sia in termini di benessere organizzativo che di performance.
Cosa significa per lei progettare processi e pratiche Hr nel rispetto dei principi della sostenibilità?
Da sempre, sono convinto che la diversità debba essere coltivata, in quanto crea ricchezza, migliora la qualità di vita all’interno dell’azienda e le consente di lavorare sulla propria responsabilità sociale. Per far questo, a mio parere, occorre ampliare il più possibile il bacino d’utenza, tenendo presente che i talenti possono essere trovati anche all’interno di una minoranza: dai disabili, agli stranieri, alle risorse umane di diverse generazioni, ecc. ecc.
Pensa che il concetto di sostenibilità interessi un particolare ambito dell’area HR (selezione, gestione, formazione) o sia trasversale?
A mio avviso, il tema della sostenibilità è trasversale, anche se è la selezione a ricoprire un ruolo fondamentale, in quanto rappresenta la via di accesso; il concetto di trasversalità suggerisce che tutto debba essere pensato in termini di diversity.
La fase della selezione è, potenzialmente, quella più discriminante perché si rischia di ragionare su stereotipi. Infatti, la job description andrebbe pensata in chiave non discriminatoria e la valutazione dovrebbe avvenire tenendo conto delle abilità, delle conoscenze, delle competenze e dell’esperienza di cui l’azienda ha bisogno per quella specifica posizione.
La mia opinione è che i recruiter dovrebbero avere una formazione che gli permetta di interfacciarsi correttamente con tutti i tipi di diversità, in modo da gestire al meglio i processi di selezione. A tal proposito, quello che riscontro è che, a volte, queste risorse non vengono sottoposte alle prove di assessment previste da una determinata posizione, ma sono valutate solamente attraverso un colloquio motivazionale. Questo è indice del fatto che, a priori, saranno escluse da determinate posizioni. In Italia il problema fondamentale è che il nostro sistema delle imprese è fondato al 95% da piccole imprese che sono al di sotto di 10 dipendenti, quindi, non hanno vincoli legislativi in materia di disabilità. Al contrario, le grandi aziende, come Manpower, pongono notevole sensibilità verso questi temi.
La sostenibilità è insita anche nella formazione aziendale. Penso al diversity training: ovvero a tutti quei programmi progettati per facilitare un’interazione positiva fra i gruppi, per ridurre pregiudizi e stereotipi, per prevenire e/o gestire il conflitto e, più in generale, per insegnare ai dipendenti la convivenza con la diversità.
Per quanto riguarda la fase della valutazione delle performance ritengo che ogni individuo dovrebbe essere valutato secondo criteri oggettivi e i percorsi di carriera dovrebbero essere pensati ad hoc. Inoltre, anche chi si occupa dei sistemi di welfare dovrebbe ispirarsi ai principi della sostenibilità e implementare, laddove non lo fossero già, i programmi di work-life balance permettendo cosi a categorie discriminate di poter svolgere la propria attività lavorativa. Mantenendo questa prospettiva, anche la comunicazione, in quanto funzione basilare dell’Hr agisce a livello organizzativo, permettendo che valori, obiettivi, ideali, siano diffusi e compresi da tutte le risorse. In quest’ottica appare necessario che le aziende attirino a sé persone che sappiano ragionare senza stereotipi e che sappiano lavorare di più nel mappare le competenze, il talento e le potenzialità.
In ultima analisi, mi sento di affermare che, oggi più che mai, sarebbe auspicabile cogliere l’opportunità offerta dal Diversity Management e far si che questa venga compresa, condivisa e praticata in tutte le divisioni aziendali.
Qual è secondo lei il vantaggio competitivo maggiore (se c’è) che una gestione sostenibile delle risorse umane può offrire come ritorno all’azienda e più in generale alla società?
Sono convinto che i vantaggi sarebbero innumerevoli: dal miglioramento dello stile manageriale, ad una più efficace
pianificazione nell’area della comunicazione e della gestione del personale. Inoltre, una gestione sostenibile delle risorse umane aumenterebbe la motivazione, la creatività, l’innovazione, la flessibilità e l’efficienza; favorirebbe sia l’accesso a nuovi gruppi di lavoratori che la creazione di una migliore reputazione.
Quali caratteristiche dovrebbe avere una giovane risorsa che si affaccia nell’HR? Ha dei consigli?
Secondo me una giovane risorsa dovrebbe avere una serie di caratteristiche personali: grande curiosità, grande voglia di imparare e di allargare i propri orizzonti. Una delle qualità che mi colpirebbe maggiormente è la capacità di esprimere le proprie opinioni in maniera costruttiva e di vedere le cose da una prospettiva diversa. Ritengo che questi elementi contribuirebbero ad arricchire tutte le attività in azienda e a veicolare all’esterno un’immagine positiva della stessa, in modo da attrarre le risorse migliori.
Potrebbe raccontarci un periodo che ha segnato la sua carriera o un avvenimento preciso che le è rimasto particolarmente impresso?
Penso alle mie prime esperienze lavorative in Banca Popolare di Milano e AEM (azienda di energia municipale). Questo è stato il periodo in cui ho capito che una buona preparazione accademica non bastava e che servivano altre qualità come l’expertise e il problem solving.
“ Accogliere e far propri i principi ispirati alla sostenibilità rappresenta la chiave di volta per rendere le aziende più resilienti e pronte ad affrontare le sfide che si presentano a livello globale”.
“Serve un cambiamento culturale per integrare le minoranze all’interno dell’ambiente di lavoro“