Intervista a Barbara Spangaro, Responsabile Gestione HR Staff, Sviluppo e Welfare – SEA Aeroporti di Milano
A cura di Alberto Barbella, Germana Barlocco, Cristina Gallina, Alessandro Nocera, Debora Sinatra – Master ISTUD in Risorse Umane e Organizzazione 2015-2016
Sono le 3 del pomeriggio, sopra di noi si vedono gli aerei decollare e anche il nostro viaggio sta per iniziare. Oggi siamo all’aeroporto di Linate per intervistare la Dottoressa Barbara Spangaro: conseguita la laurea in Giurisprudenza a Torino con tesi in scienze delle finanze e MBA presso la scuola di amministrazione aziendale di Torino, la Dr.ssa Spangaro inizia la sua carriera negli anni ‘90 presso Telettra occupandosi di compensation, per poi entrare in Lavazza come Responsabile Sviluppo e Gestione Risorse Umane. Prosegue la sua carriera in diversi settori, dal lusso in Ferragamo al financial services BNL. Attualmente in SEA Aeroporti Milano è Responsabile Gestione HR Staff, Sviluppo e Welfare e, in contatto diretto con i vertici aziendali, si occupa di comunicazione interna, processi di sviluppo HR, formazione e welfare.
Come descriverebbe il suo percorso HR attraverso le funzioni che ne costituiscono l’ossatura?
A differenza di oggi, quando negli anni novanta ho iniziato a lavorare in questo ambito, a Torino esistevano grandi gruppi aziendali e così come non c’era grande frammentazione nel mercato del lavoro, così non ve ne era neanche nelle funzioni interne alle Risorse Umane.
Nel corso della mia carriera, pur avendo avuto modo di operare in diversi contesti organizzativi e ambiti economici, l’unica costante che è sempre rimasta tale è stato il posizionamento della funzione HR come collante tra persone e contesto aziendale; questo aspetto delle Risorse Umane, che per alcuni potrebbe sembrare ovvio e scontato, ha subìto negli anni notevoli cambiamenti arrivando oggi a celare un grado di complessità direttamente proporzionale alla sua capacità di influire sui risultati
di business. Nella mia esperienza ho sempre cercato di fare in modo che sul posto di lavoro le persone stiano insieme, non solo in termini di interdipendenza lavorativa, ma nel tentativo che i rapporti possano tradursi in opportunità di confronto, di crescita professionale e sviluppo; negli ultimi anni in SEA infatti, i concetti di knowledge sharing, di employability interna e diversity, si sono tradotti in realtà concreta anche in relazione ai processi di ristrutturazione che SEA ha dovuto operare.
Tra le sue competenze, quali ritiene essere più importanti oggi per il suo lavoro?
Fondamentale è la capacità di comunicazione. Oggi le aziende sono sempre più snelle e questo porta a interfacciarsi contestualmente con persone con culture diverse e che ricoprono diverse funzioni tra loro.
Essenziale è saper padroneggiare diversi registri di comunicazione avendo la capacità di essere efficaci.
Immediato è il collegamento con la capacità di entrare in sintonia, in empatia, con le persone: riuscire a far capire all’interlocutore la propria capacità di comprensione aumenta esponenzialmente la possibilità che la comunicazione avvenga efficacemente, appagando allo stesso tempo ricerca di informazioni e desiderio di trasparenza.
Operare in questo senso implica porsi in una condizione di ascolto attivo, interpretando il lavoro delle Risorse Umane come funzione aziendale e allo stesso tempo come dimensione di servizio. Per raggiungere questa capacità di comunicazione è indubbio sia necessaria una certa dose di esperienza e altrettanta proattività, soprattutto nel cogliere occasioni e nel sapersi esporre ai rischi a queste correlati.
Un’altra competenza indispensabile per lavorare nelle Risorse Umane è riuscire a mantenere i gradi di interrelazione ad un buon livello di cooperazione positiva, operando in una direzione di team building e facendo sì che l’unità della squadra si rifletta nei comportamenti del singolo:
“chi fa Risorse Umane deve saper fare da collante per il team, è un contributo indispensabile e deve essere insito nella funzione HR”
Chi riesce a fare tutto questo è una figura costantemente presente, che fisicamente si aggira tra gli spazi e tra le persone cogliendo lo stato delle cose; la differenza che insiste tra colui che si attiva proattivamente per interagire con gli altri, e colui che attende passivamente questa opportunità, è che il primo potrà influenzare e conoscere il “tessuto aziendale” nel suo percorso, cogliendo le problematiche emergenti ed anticipandovi le soluzioni migliori.
Il management by walking, tanto diffuso quanto sconosciuto, è uno strumento indispensabile per rafforzare la propria capacità predittiva, anche in funzione di un accreditamento come interlocutore dei manager di linea.
Quali sono le differenze che sussistono tra un professionista del mondo HR che ha avuto una carriera all’interno di varie aziende ma sempre in ambito HR, rispetto ad un professionista che ha svolto altre funzioni?
Sicuramente rispetto al passato alcuni direttori del personale possono entrare in posizioni manageriali ma nella mia esperienza lavorativa sono poche le persone che hanno avuto carriere miste.
Il tema della contaminazione è importante, si è più attrezzati a comprendere logiche e meccanismi delle altre funzioni, e benché non consideri impossibile o meno efficace una carriera in tal senso, questa porta con sé sicuramente un vantaggio. Per lavorare nelle Risorse Umane però è indispensabile avere una strumentazione di base solida che, se sedimentata fin dall’inizio della carriera e sostenuta attraverso l’esperienza, permette di vedere con occhi più attenti le cose e statisticamente si è più preparati ad affrontare nuove situazioni.
Il professionista che ha avuto modo di operare nei vari contesti della funzione HR giunge infine ad averne una comprensione chiara e completa; in tal senso, maturando credito e reputation agli occhi del vertice, può alla fine del proprio percorso verticale approdare alla “stanza dei bottoni” partecipando alle scelte operative di competenza della propria struttura.
Qual è il valore aggiunto di aver lavorato in diversi settori e realtà aziendali?
Ogni realtà aziendale ha le sue peculiarità in ambito HR. A differenza di chi ha sviluppato la propria carriera in ambiti diversi, chi ha sempre vissuto le Risorse Umane in un solo settore lo percepisce come fosse il business più complesso. La differenza che però distingue il primo dal secondo è che il primo ha il vantaggio di poter impiegare soluzioni differenti a meccanismi aziendali diversi, apportando soluzioni innovative in contesti talvolta autoreferenziali.
Il vantaggio di aver visto diversi settori è di aver conosciuto le diversità dei vari modelli di business e degli scenari competitivi, il ruolo ricoperto dall’azienda nel suo specifico settore e i meccanismi aziendali per restare sul mercato.
Si acquisisce la competenza fondamentale di saper leggere velocemente il mercato, i suoi cambiamenti così come il bilancio dell’azienda: “nel cambiamento si forma la propria cassetta degli attrezzi”.
Cambiare lavoro è impegnativo, specie a livello di seniority, da cui ci si aspetta fin da subito una profonda conoscenza dell’azienda e la capacità di assumersi le responsabilità dai primi giorni.
Quello che però fa la differenza, ferme le competenze tecniche e le soft skills, è la necessaria capacità di saper cambiare e crescere, sapendo mettere in discussione i propri assunti per abbracciare nuove realtà.
Come vede il mondo HR nei prossimi anni?
Nel contesto italiano la funzione delle Risorse Umane nei prossimi anni non subirà una significativa modifica, le competenze hard resteranno sempre le leve fondamentali e indispensabili: ristrutturazioni, accordi sindacali, procedure di riduzione dei costi sono attività che difficilmente subiranno evoluzioni drastiche a parziale risposta dell’ingresso delle nuove tecnologie in ambito HR. Importante però sarà la capacità delle Risorse Umane di generare innovazione poiché le tendenze estemporanee, così come le mode, non perdurano per lungo tempo: esiste in tal senso una grande accelerazione nel nostro sistema, che ti porta a dover pensare in un’ottica sempre più innovativa e originale.
Non si possono più affrontare i temi con la logica della best practice, il lavoro è proiettato al futuro e le diverse funzioni aziendali, tra cui le Risorse Umane, devono essere in grado di rispondere alle necessità del business anche attraverso la collaborazione con la famiglia professionale e partecipando a network di HR.
Fino a qualche anno fa il manager HR trascorreva la maggior parte del suo tempo in ufficio, oggi il confronto dato dalla partecipazione alla vita della funzione genera un continuo rigenerarsi di complessità e stimoli all’innovazione.
Qual è l’aspetto del suo lavoro che considera più motivante e coinvolgente?
Indubbiamente l’aspetto più motivante e coinvolgente che guida il mio lavoro è la capacità di essere agente del cambiamento.
Nella mia esperienza mi è spesso capitato di incontrare persone che non erano pienamente consapevoli delle proprie qualità e competenze; essere in grado di raccogliere competenze laddove sono sommerse, facendone emergere il potenziale e concretizzandolo in un cambiamento di carriera, restituisce alle persone aspirazione e motivazione, migliorando il rapporto con se stesse e con il proprio contesto organizzativo.
Gli anni della mia adolescenza, spesi nei contesti dell’associazionismo, riflettono bene l’idea di citizenship che vorrei vedere intorno a me; l’esperienza personale ha giocato un ruolo significativo durante la mia carriera e ha fatto sì che svolgessi il ruolo da agente di cambiamento all’interno delle organizzazioni.
Il cambiamento futuro avverrà riappropriandosi della dimensione relazionale e delle persone.