Project Work a cura di Tareq Aljabr, Elena Bianchi, Eugenio Bonaccorsi, Antonino Lo Giudice, Francesco Miano – Master in Risorse Umane e Organizzazione 2018-2019
Il nostro progetto si propone di esaminare il tema “Organizzazione oltre la strategia”.
Partendo dalla considerazione che la strategia abbia via via assunto una posizione di predominio rispetto all’organizzazione, si intende analizzare la tematica del Diversity Management come insieme di pratiche volte a valorizzare le peculiarità dei singoli all’interno del contesto aziendale e come veicolo per riequilibrare lo svantaggio dell’elemento organizzativo.
Nel primo capitolo ci siamo proposti di esaminare alcune pietre miliari della teoria dell’organizzazione.
La prima tappa del nostro excursus storico si colloca temporalmente dopo la seconda rivoluzione industriale e si sostanzia nel contributo offerto da Taylor, inventore dell’organizzazione scientifica del lavoro, e da Ford, che la mise in pratica nella sua fabbrica di Detroit.
Siamo poi passati ad una breve disamina dello Human Relations Movement, che pose l’accento sul concetto di “uomo sociale”, mirando a superare la concezione di lavoratore inteso come automa inserito in una catena di produzione.
Successivamente abbiamo accennato alle teorie ecologiche, risalenti agli anni Sessanta, soffermandoci brevemente sullo studio di Lawrence e Lorsch, che si sono concentrati sul rapporto tra ambiente e organizzazione d’impresa. Infine, giunti agli anni Ottanta, abbiamo preso in considerazione la prospettiva di Chandler e Porter, che hanno segnato il definitivo avvento della strategia sull’organizzazione.
Nel secondo capitolo siamo poi passati ad occuparci più specificamente del Diversity Management come strumento che, nell’ottica di questo lavoro, possa aiutare a riportare l’organizzazione attraverso i singoli individui che la compongono, a protagonista della vita aziendale, senza per questo destinare la strategia ad un ruolo secondario.
Nel primo paragrafo abbiamo innanzitutto offerto una definizione del concetto di Diversity Management (espressione comparsa per la prima volta in letteratura nella relazione Workforce 2000, redatta nel 1987): ossia “un approccio alla gestione delle risorse umane nelle organizzazioni volto alla promozione di un ambiente di lavoro inclusivo, in grado, cioè, di favorire l’espressione delle differenti predisposizioni, esperienze e identità del personale e di valorizzarle ai fini della prestazione d’impresa e del conseguimento dei suoi obiettivi”. Per ciò che concerne il buon radicamento, nel contesto aziendale, di politiche di Diversity Management, è stata sottolineata l’importanza – e ne abbiamo ricevuto conferma dalla ex manager IKEA Renata Duretti – di una cultura aziendale organizzativa consapevole e orientata al riconoscimento e alla valorizzazione delle diversità, o per meglio dire peculiarità, di ciascun lavoratore: la presenza di una forza lavoro sempre più diversificata ed eterogenea (influenzata da fattori quali: flussi migratori sempre più diffusi e consistenti, la graduale conquista di diritti e visibilità da parte della comunità LGBTQ, il progressivo invecchiamento della popolazione che ormai si registra a livello quasi globale), infatti, richiede alle organizzazioni un impegno costante e un continuo ripensamento dei propri assetti organizzativi al fine di distinguersi nel mercato ed aumentare la propria competitività.
Nel secondo paragrafo, poi, abbiamo dato spazio a considerazioni di carattere pratico, ponendo l’attenzione sulle possibili conseguenze che l’applicazione di politiche di Diversity Management potrebbe comportare in azienda. Per quanto concerne i vantaggi, ne abbiamo individuate tre categorie:
- una prima, attinente al benessere del singolo individuo all’interno dell’azienda;
- una seconda, che guarda i vantaggi interni al sistema organizzativo (tra cui: la predisposizione di un clima aziendale più sereno, la fidelizzazione dei dipendenti all’azienda, la riduzione degli episodi di assenteismo e un ricorso meno frequente al turnover);
- una terza, infine, che si proietta all’esterno e che riguarda sostanzialmente l’incremento dei profitti aziendali (anche in conseguenza di un miglior posizionamento del brand sul mercato).
Per quanto infine concerne i limiti applicativi abbiamo fatto riferimento alla dimensione aziendale, alla necessità di procedere a una riorganizzazione strutturale, nonché ai costi elevati e ai lunghi tempi di implementazione.
Nel terzo paragrafo ci siamo focalizzati sulla concreta applicazione delle pratiche di Diversity, individuando gli step – riconducibili al lavoro di Simona Cuomo, coordinatrice del Diversity Management Lab di Sda Bocconi – che possano fare da guida alle aziende che vogliano introdurre un sistema di diversity management: assicurarsi la sponsorship del vertice; predisporre un’unità organizzativa con una funzione appositamente dedicata, che abbia capacità decisionale, budget e risultati da portare in base a una strategia concordata; costruire pratiche e processi a supporto (dalla rivisitazione del ciclo HR secondo la leva della diversity, alle politiche a supporto della famiglia e alle pratiche ad hoc per la disabilità e la malattia); avviare un processo di ripensamento della cultura aziendale e adottare uno stile di leadership che tenga conto della diversity. A livello di iniziative, ne abbiamo poi citate alcune di quelle che vengono più frequentemente promosse e che rientrano negli interventi di Diversity Management, ossia: le strategie di reclutamento, volte ad una maggiore eterogeneità della forza lavoro; i programmi di formazione; le attività centrate sulle dinamiche relazionali all’interno dell’azienda (quali i programmi di mentoring o di networking), nonché quelle centrate su processi di valutazione e su sistemi di incentivi che tengano conto delle diversità presenti in azienda; le attività di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro; i sistemi di welfare aziendale; gli strumenti di comunicazione rivolti sia all’interno sia all’esterno dell’azienda per promuovere i temi connessi con il Diversity Management.
Il terzo capitolo approfondisce invece il grado di rilevanza delle politiche di Diversity all’interno del contesto italiano.
Nel primo paragrafo è stato sottolineato il ritardo che separa l’Italia da altri Paesi economicamente sviluppati nell’implementazione delle politiche di Diversity in azienda; ciò è dovuto a diverse cause: il fatto che l’Italia si sia solo recentemente confrontata con tematiche già datate in altre aree geografiche, dall’incremento dei flussi migratori alle questioni dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere; la prevalenza di aziende medio-piccole, le cui dimensioni talvolta neppure necessitano di considerare determinate “categorie di diversità”; la mancata considerazione del diversity management come una leva “hard”, ma la sua associazione al filone della sostenibilità in azienda.
E’ stata comunque osservata, nei due successivi paragrafi, la possibilità di rinvenire una certa omogeneità nei comportamenti delle aziende italiane, che procedono generalmente su due piani: da un lato, sul piano del target, dove si rileva una particolare attenzione verso le questioni legate al genere e alla disabilità (che già godono tra l’altro di tutela giuridica); dall’altro, sul piano della formazione interna all’azienda, ancora considerata come principale veicolo di sensibilizzazione del personale aziendale sui possibili comportamenti pregiudizievoli e discriminatori sul luogo di lavoro.
Nel quarto e ultimo paragrafo abbiamo infine menzionato una delle iniziative attualmente più interessanti, all’interno del panorama italiano, in materia di diversity management, costituita dal Diversity Brand Summit: un’occasione di confronto, tra le aziende impegnate sul tema, per riflettere sul valore generato dal ricorso a pratiche inclusive. Le aziende partecipanti, già consapevoli degli effetti benefici che l’applicazione di politiche di diversity e inclusion possono avere in una realtà aziendale, hanno la possibilità di esporre e spiegare le proprie iniziative. Al termine dell’incontro, l’azienda che si contraddistingue per il proprio stato di avanzamento sull’argomento, viene premiata con il Diversity Brand Award, che viene assegnato in base al c.d. “Diversity Brand Index (DBI)”, strumento volto a misurare il reale livello di inclusione delle aziende partecipanti.