Sintesi del workshop a cura di Andrea Turi – Master in Risorse Umane e Organizzazione e da Pietro Francini – Master in Marketing Management
Lo scorso 6 marzo all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano noi studenti ISTUD di Risorse Umane e Organizzazione e Marketing e Management abbiamo incontrato i professori Luigi Serio, Alessandro Baroncelli, Laura Zanfrini e Massimiliano Monaci per seguire un workshop dal titolo: “La Globalizzazione da rifare: nuovi modelli di business e istanze di inclusività“. L’incontro è stata l’occasione per analizzare le distorsioni legate al processo di globalizzazione secondo due punti di vista: uno più economico e l’altro sociologico di inclusione.
Il primo ad intervenire è stato il professor Baroncelli via video. Baroncelli, partendo dall’analisi del rapporto fra Trump e la Cina e la contraddizione del liberismo cinese, ha affermato che la globalizzazione presenta vantaggi quali la riduzione dei costi, l’aumento della ricchezza a livello mondiale e la riduzione della povertà assoluta dei Paesi in via di sviluppo. Tuttavia, gli svantaggi sono rinvenibili in una maggiore competizione, una mancata redistribuzione della ricchezza a livello internazionale e nazionale e un’accelerata rimozione delle aree di protezione e privilegio.
Cercando di leggere questi elementi in un’ottica comparata, Baroncelli afferma che il centro del mondo si sposta verso Oriente, si ricerca sempre di più un’economia di scala basata sulla conoscenza piuttosto che sui volumi ed improntata ad una disruptive innovation.
Due sono gli approcci possibili per far fronte alle sfide dell’aumento della competizione: introduzione di dazi all’entrata e, mutuando la metafora dello sport, il miglioramento del proprio modello di Business.
I dati ci dicono che l’Italia si sta ritagliando spazi sempre più importanti realizzando esportazioni da record sia nel 2016 che nel 2017. Il problema che permane è che solo il 30% delle imprese presenti in Italia esporta verso mercati esteri. Dunque la globalizzazione funziona da un punto di vista economico ma non funziona a causa della chiusura dei mercati che spesso ne deriva e per questo è da rifare.
Seconda ad intervenire è stata la professoressa Zanfrini che ha dato una chiave di lettura sui temi di inclusione sociale in rapporto all’economia e ha aggiunto agli effetti della globalizzazione quello della mobilità umana della forza lavoro. Per Zanfrini i temi di inclusività non hanno un’importanza solo etica ma strutturale sulle economie europee dato che contribuiscono alla crescita dei capitali umani e del livello di istruzione. Tuttavia l’inclusività affronta tre grandi sfide: Equità generazionale più difficile che mai da raggiungere poiché viviamo in una società nella quale gli anziani sono superiori ai bambini ed il trend è in aumento. Secondo Zanfrini, per fare inclusione sociale c’è bisogno di fare riferimento ad una serie di capacità quali, ad esempio, gestire il personale in base alle diverse fasi di vita familiare o individuale che affronta; ripensare alla disabilità nel mondo del lavoro, identificando le condizioni che rendono un lavoratore “abile” nonostante disabilità, malattie croniche e invecchiamento ma anche creando luoghi di lavoro maggiormente accoglienti e inclusivi; Equità di genere connessa alla necessità di sostenere non solo l’occupazione e la presenza femminile in luoghi di maggior discriminazione ma anche i contesti dove l’uomo subisce maggiori condizionamenti e ingiustizie sul posto di lavoro. La soluzione a questa tematica è l’introduzione del work-life balance che riduce i rischi di discriminazione per chi ha responsabilità familiari onerose. Equità Tecnica, rivolta ad un modello di integrazione istituzionalmente discriminatorio legato alla logica di affidare agli immigrati ciò che non si è più disposti a fare e pagandoli sempre meno. Ciò ha generato fenomeni di Dumping sociale e complessivo degrado della qualità dell’occupazione nonché involuzione della civiltà del lavoro, sempre più offuscata dalla discriminazione etnica.
Al termine del suo intervento la professoressa Zanfrini ha rimarcato l’importanza di trasformare la diversità da problema ad asset strategico, porre la dignità del lavoro al vertice di ogni opportunità occupazionale che si rispetti, investire sulla possibilità da parte dell’individuo di realizzare se stesso all’interno del luogo di lavoro senza dimenticarsi però della responsabilità collettiva.
La parola è poi passata al direttore Monaci che ha ripreso quanto detto dai suoi predecessori chiarendo come al centro di tutto ci sia l’impresa, principale attore del processo di globalizzazione e dunque potenziale responsabile di distruzioni ambientali, esclusione sociale, diseguaglianze economiche e discriminazioni culturali.
Il rispetto delle pratiche di inclusività, secondo Monaci, è in grado di alimentare una globalizzazione dal volto più umano e dunque, in conclusione, uno sviluppo delle competenze funzionale alla riduzione di diseguaglianze, esclusioni e discriminazioni sociali, unito ad un sostegno continuo dell’innovazione, rappresenta l’evoluzione indispensabile per la futura cultura manageriale.
Dopo una trattazione teorica delle tematiche connesse alla globalizzazione è intervenuta Anne Cnops che ci ha parlato alcune delle sue esperienze personali e professionali per descrivere in modo pratico come l’inclusività debba esser integrata allo stile di management: dall’espressione chiara dei valori all’interno dell’azienda si possono generare infatti benefici economici e rendere l’intera filiera produttiva più compatta e coerente sul rispetto di certe tematiche.
Infine il Direttore Serio ha concluso l’incontro asserendo come la sostenibilità sociale non debba più essere un lusso organizzativo o una dimensione di facciata ma rappresentare un vero e proprio asset strategico per le aziende del presente e i manager che un domani saranno chiamati a guidarle. Solo in quest’ottica sarà infatti possibile pensare a un restyling della globalizzazione.