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Intervista a Marco Fornasari, GDO Manager di Rovagnati

Intervista a cura di Marco Mastrogiovanni, Christian Morisco, Daniele Manzella e Ilaria Malinverno – Programma “Retail Your Talent” 2016-2017

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Ore 15.00, è una giornata stranamente calda per esser a Baveno. È proprio qui, nella sede ISTUD, che accogliamo il nostro ospite, il Dottor Marco Fornasari, che per un caso fortuito si trova a passare in questa zona per questioni di lavoro. Abbiamo conosciuto una persona aperta al dialogo e appassionata al proprio lavoro. Ci accomodiamo in un’aula dedicata e iniziamo la nostra intervista.

Chi è Marco Fornasari e cosa fa nella vita?
Sono nato e ho studiato a Milano. Il settore della vendita mi ha aiutato molto poiché poche professioni come questa aiutano a formarsi caratterialmente. Sei costantemente sottoposto a giudizi e devi spostarti spesso geograficamente. Quando ero ragazzo ho sempre vissuto a Milano, grazie al lavoro ho iniziato a viaggiare e da lì la mia vita è totalmente cambiata come mindset.
In questo momento io sono GDO Manager in Rovagnati, capo di una struttura di National.
Sono responsabile di tutte le insegne nazionali della GD, supervisiono i National Key Account, mi occupo della gestione dei contratti e in generale dello sviluppo del canale. Il mio Line Manager è il Direttore Commerciale.

Come è arrivato in Rovagnati?
Ho cominciato a lavorare per Rovagnati perché dopo aver avuto tre esperienze significative in multinazionali del calibro di Unilever, Coca-Cola e Reckitt, mi cercò un head-hunter. Incuriosito, dopo aver conosciuto la proprietà, sono rimasto impressionato, ho avuto una percezione di imprenditorialità molto alta e ho deciso quindi di continuare il mio percorso in questa azienda.

Tra le sue esperienze professionali quale l’ha formata maggiormente?
Tutte e tre sono state eccellenti. Ogni Azienda in cui ho lavorato ha dei punti di forza: in Coca-Cola ho imparato come si attiva un punto vendita, in Unilever ho sviluppato la capacità di lettura strategica dell’innovazione (far crescere la categoria innovando) e in Reckitt ho consolidato il mio lavoro grazie ad assets molto diversi con marginalità altissime.

Cosa le piace del suo lavoro?
La cosa che mi piace di più del mio lavoro è la cultura del risultato. Al mattino apro il pc e guardo le vendite, il fatturato, controllo se tutte le cose per cui ho “lottato” hanno funzionato, se l’inserimento per quella referenza, la distribuzione su quel canale, e quel formato speciale su quella promozione sono andate a buon fine. Se tutto ciò è andato come previsto allora è il miglior appagamento. Mi piace quello spirito di imprenditorialità che è difficile vedere in altre funzioni aziendali.
Azione-risultato, andare da un cliente e proporre un prodotto sono aspetti che mi affascinano perché richiedono ore di preparazione interfunzionale, discutendo su come dire le cose e sui tempi di intervento, si pianifica un role play.

C’è anche dell’improvvisazione nella negoziazione?
Poco è improvvisato. Si preparano i discorsi su ciò che si ha studiato e analizzato, mettendo tutto insieme come un direttore d’orchestra. La diagnostica che ho fatto sul mercato, la conoscenza del cliente, sono tutte informazioni che devo sintetizzare. Inoltre i clienti, ti mettono sempre in difficoltà, non ti dicono mai “sì”, pretendono sempre fatti e numeri a supporto di ogni decisione, ma alla fine è una soddisfazione infinita quando ti chiamano ed accettano la proposta.

Come ha iniziato il suo lavoro?
Ho fatto la mia “gavetta” nel ruolo di In-Store Account nei punti vendita, che è la figura d’ingresso in quasi tutte le realtà, dalle più piccole alle più grandi.
Si inizia dal punto vendita fino ad arrivare a GDO Manager. In Rovagnati non abbiamo il Direttore Vendite, io rispondo direttamente al Direttore Commerciale.
Nella GD ci sono tanti centri decisionali lato cliente, tanta decentralizzazione del potere con una marea di ruoli a livello territoriale. I responsabili dei punti di vendita vogliono avere la loro autonomia decisionale nel mettere in pratica ciò che è stato stabilito in un contratto commerciale. Per questo motivo sul punto vendita ci vuole l’In-Store Key Account che deve assicurare la realizzazione degli accordi dove si fanno effettivamente le vendite (punti vendita).
Quindi il percorso professionale tipico nell’area commerciale in un’Azienda Mass Market con beni di largo consumo è: In Store Account, Key Account, National Key Account, Direttore Vendite.
Tutte le Aziende in cui ho lavorato hanno la figura dell’In Store Account che è come una palestra per un commerciale. Si fa un salto dal mondo “accademico” al punto vendita.

Con quale figura si relaziona l’In Store Account?
Si relaziona con i Direttori dei punti vendita e con i capi reparto negli Ipermercati. I piccoli supermercati non hanno una gestione specializzata delle categorie, qui si possono trovare spesso situazioni in cui un Direttore del punto vendita fa di tutto.
Un In Store Account vuole avere un confronto con una persona che possa capire il valore di ciò che dice. Tutte le aziende cercano di mettere nel loro pacchetto clienti, un numero nutrito di ipermercati perché hanno all’interno dei capi reparto o dei capo fila di settore merceologici che conoscono i prodotti che trattano, sono molto preparati e possono incidere sui risultati del business.

É difficile relazionarsi con i capi reparto, capo fila dei settori merceologici?
È molto difficile relazionarsi, secondo me è anche una buona scuola per capire se uno è portato a fare un lavoro commerciale. Si negozia, si parla della relazione anche in corsia o dentro una zona di carico/scarico merci. Non c’è un canale istituzionale di rapporto.
Il commercio è quasi un’arte non è solo tecnica, è un’arte relazionale, c’è empatia, c’è la capacità di leggere la situazione, leggere la partita, leggere la persona e saperla convincere. Saranno loro che venderanno il tuo prodotto e soprattutto non sei l’unico sul mercato, tranne casi eccezionali di leadership assoluta. Rovagnati è l’esempio emblematico di quanto il valore umano possa fare la differenza rispetto a “Coca-Cola”, che ha il 90% di quote di mercato ed è quindi più facile essere ascoltati dai clienti. Il mercato dei salumi è un mercato equilibrato, c’è un 5% di quota su ogni marca e allora lì è ancora più difficile farti prendere in considerazione in maniera più autorevole e differenziarti, perché sei “sostituibile”.
Molte persone abbandonano. Molti ragazzi universitari hanno inizialmente una visione un po’ artefatta delle vendite, e quando impattano con questa realtà si impauriscono.

Come faceva a creare relazioni con i suoi clienti? Esistono assi nella manica?
Nel lavoro dell’In Store Account non esistono assi nella manica, né una ricetta segreta.
Però, vi dico qual è la cosa che normalmente funziona sempre, cioè una chimica perfetta tra tre fattori:
il primo è un’ottima conoscenza dei prodotti, ossia sapere molto bene ciò di cui si parla, perché ci si relaziona con persone che lavorano direttamente nel punto vendita e che sanno addirittura dirti quanti pezzi vendono di ogni prodotto sullo scaffale. Meglio stare zitti se non si sanno le cose.
Il secondo fattore importante è quello che io chiamo intelligenza sociale, ovvero capire chi hai di fronte. Bisogna adattarsi ad ogni situazione, esser camaleontici, leggere la persona e parlare la sua lingua. Se ti relazioni con un operativo che parla da operativo è inutile usare termini tecnici in inglese perché lui non ti capirà.
Il terzo fattore è capire bene i bisogni del cliente. È importante chiedersi quali sono i suoi veri bisogni, che cosa è importante per lui, quale è la filosofia della sua insegna. Saper tradurre il tuo fine all’interno dei bisogni dell’insegna è essenziale. Bisogna creare un “disco vendita” che “suoni bene” e per fare ciò occorre che ci sia un rapporto win-win tra le parti.
Questo è il mio paradigma fondamentale per vincere.

Qual è l’evoluzione del ruolo dell’In-Store Account?
Ci sono delle figure di primo step che sono coordinatori d’area degli In Store Account. Questi si chiamano o Team Leader o In Store Coordinator. Quando le aziende ritengono che tu sia bravo a fare il tuo lavoro, successivamente ti chiedono di dimostrare di saper trasferire questa tua eccellenza ad un team, coordinandolo e facendolo andare alla tua velocità. A nessuna azienda piace avere una persona che vada troppo veloce rispetto alle altre, ma preferisce che tutti vadano alla stessa velocità.
Nella mia esperienza ho cominciato come In Store Account e successivamente sono diventato responsabile di canale del territorio in Unilever per gelati e Findus. Da lì poi ho seguito tutti i possibili steps per divenire National Account Manager per Coca-Cola e infine per Reckitt.

Da National Account Manager quali sono state le sue principali attività?
Le giornate erano diverse in base alle priorità. In generale durante la prima parte dell’anno vieni assorbito dalla chiusura dei contratti. Listini e contratto viaggiano sempre insieme e vanno rinnovati ogni anno.
Se sei bravo a chiudere un contratto puoi lavorare sui profitti derivanti da quell’accordo per tutto il resto dell’anno. Dentro un accordo inserisci non solo condizioni economiche ma anche delle contropartite, cioè cose che chiedi all’insegna che vengano fatte per i tuoi brand e per la tua azienda.
Per quanto riguarda invece la routine c’è un’attenzione costante alle 4P:

  • Product, ovvero il monitoraggio degli assortimenti del cliente. Ti devi sempre chiedere se hai le referenze giuste, se hai inserito le novità che sul mercato stanno andando, come è clusterizzato l’assortimento dentro i punti vendita, se tieni le referenze giuste nei metri quadri giusti. In tutto questo è fondamentale il supporto del Trade Marketing.
  • Promotion. La Pianificazione promozionale è fondamentale, perché deve tenere conto di ciò che è stato fatto in passato e di quelli che sono i piani di sviluppo sull’insegna. La promozione crea il maggior contributo in termini di ritorno di fatturato.
  • Price consiste nel chiederti se hai i giusti prodotti al giusto prezzo e nel giusto canale.
  • Placement (inteso come second placement). E’ fondamentale, per dare visibilità. Una promozione è difficile che produca fatturato incrementale all’azienda e al negozio se viene fatta a scaffale, proprio perché lo scaffale è destinato agli acquisti programmati. Una promozione deve generare vendite incrementali che stanno fuori dallo scaffale. Inoltre, placement inteso come giusto assortimento nel giusto store format (Iper, Super o Superette).

Quali sono le attività di relazioni manageriali di un National Account Manager?
Poniamo il caso in cui un National Account Manager di esperienza abbia come cliente una grande insegna della GDO, avrà come riferimento dei Regional Key Account che gestiranno a loro volta gli otto sottogruppi di quell‘insegna. I Regional sono sempre in contatto con il National perché devono controllare quello che il National ha chiuso a livello di accordi commerciali con l’insegna.
Il National pone loro domande del tipo: Hai chiuso l’assortimento giusto? Hai controllato se la quota scaffale dei miei prodotti è quello che ho concordato? Stiamo implementando le promozioni extra banco? Le altre relazioni interne sono con tutte le funzioni aziendali.

Qual è la differenza tra un National Account Manager e un’Area Manager?
Il National lavora sull’insegna nazionale mentre l‘Area Manager è su una area geografica specifica. L’Area Manager sa quali sono le cose che servono su quel punto vendita/Micro Area Geografica ed è fondamentale per lui trasferire il know how ad un team di persone di vendita che lavorano sull’area, facendo in modo che siano stimolate. Deve avere autorevolezza, essere rispettato, avere capacità di delega e di coaching.
Un’Area Manager abitualmente ha resposabilità di più canali di vendita (GDO e HORECA) con focus su insegne territoriali, con gestione di agenti o District Manager. L’area manager gestisce una numerica altissima di clienti territoriali ma con complessità gestionale bassa, di conseguenza la complessità è sulla quantità rispetto alla qualità.

Quali sono le competenze principali nel suo lavoro?
Essere in grado di portare sempre di più l’azienda e il cliente a parlarsi. Il rapporto industria e distribuzione è un rapporto conflittuale, è importante sforzarsi di alzare i livelli di confronto per esempio non si deve parlare solo con un Buyer, ma si devono organizzare i Top to Top, i meeting con i Top Managers.
L’aspetto sui cui invece continuo ad inciampare sono le risposte veloci. A volte mi arrivano richieste su cose da fare e rispondo che prima va fatta una valutazione, ma dovrei prendere più rischi con buon senso.

Come ha cambiato il suo lavoro la tecnologia?
La tecnologia ha cambiato tantissimo il mio lavoro, perché la complessità è crescente di anno in anno e oggigiorno bisogna essere super informati. Una volta questa informatizzazione non era necessaria.
In mercati in crescita la tecnologia è meno rilevante perché la domanda assorbe questa crescita e la prima preoccupazione è vendere. Adesso siamo in mercati con eccesso di offerta e bisogna andare a vedere all’interno del segmento perché gli shopper devono scegliere te rispetto ad altri. Bisogna fare analisi continue sulla categoria, sulla marca privata, ed essere informati per migliorare le scelte strategiche. Bisogna studiare, avere un tracking corretto, guardare le cose anche quando non servono, perché se ti distrai puoi perdere quell’1% di crescita che può fare la differenza. Il National tuttavia non deve entrare nella mentalità analisi-paralisi, la diagnostica deve avere una finalità di azione. Il National non può fermarsi troppo a pensare, deve prendere una decisione (Time to market).

Cosa consiglierebbe ad un ragazzo che si affaccia a questo mondo?
Gli consiglierei di non abbattersi all’inizio.
L’azienda ti mette alla prova per capire se sei un uomo di vendita. Devi essere a contatto quotidianamente con chi vende e con i responsabili di negozio. Inoltre non bisogna mai dimenticarsi che la migliore formazione la si fa tramite la propria linea manageriale attraverso il learning by doing. Avere un Manager che ti fa applicare quello che hai imparato è il miglior corso di formazione. Un giovane deve avere grande umiltà, perché immergersi nella vendita non è facile e deve avere la sensibilità di capire cosa vuole fare un domani. Bisogna patrimonializzare l’esperienza perché tutto ciò che si apprende tornerà utile.

Dove si vede nel prossimo futuro?
Adesso mi godo quest’esperienza in Rovagnati che mi ha trasferito lo spirito imprenditoriale al 100%.
La diversità tra un’azienda patronale e una multinazionale sta nell’attitudine, la disciplina e la grandissima passione per il proprio prodotto che nelle multinazionali puoi trovare in qualcuno ma non lo respiri sempre e ovunque. Dove c’è l’imprenditore e proponi qualcosa di innovativo, lui ti dice “facciamolo”. Per ora mi godo questo, qui ci sono bravi Manager. Io mi interfaccio costantemente con tutti i Direttori di Funzione. Questo tessuto interfunzionale continuo non esiste in una multinazionale. Io sono arrivato in Rovagnati dopo quasi 12 anni di esperienza nelle grandi Company in cui ho appreso molto da modelli di business diversi ed ora in Rovagnati metto in atto tutto ciò che ho imparato.

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Christian Morisco

Christian Morisco

Partecipante alla II edizione di Retail Your Talent

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