Intervista a cura di Alessia Monti, Daniela De Luca, Maria Lucia Burriesci e Sofia Sangalli – Master in Marketing Management 2015-2016
Alessandro Binetti inizia la sua intervista dopo una giornata di meeting spalla a spalla. La sua carriera è stata molto bilanciata fra Italia e contesto internazionale, avendo speso ben 5 anni su 12 in UK. Da tre mesi ha deciso di lanciarsi in una nuova impresa come Product Development Team Lead presso Rightmove, che rappresenta una delle realtà più importanti nel real estate market in UK.
Il percorso di Alessandro Binetti:
Terminato il Master in Marketing Management di ISTUD nel 2004 ha ottenuto uno stage a Yahoo! Italia, dove è rimasto fino al 2011. Durante questo periodo ha ricoperto vari ruoli all’interno della funzione marketing: Content Producer, Sales Producer, Ad Solutions Manager, Project Manager CBE EMEA. Il primo approccio con Yahoo! è stato molto positivo: dopo alcuni colloqui presso aziende più “istituzionalizzate” ha trovato nel clima creativo e innovativo di Yahoo! quello che stava cercando. Dopo un periodo iniziale nel team di Marketing ha compiuto il suo passaggio al team editoriale, dove ha curato come Product Manager i canali entertainment: cinema, giochi, videogiochi e musica. Col passare del tempo ha iniziato a collaborare sempre più da vicino con la forza vendite ed è stata creata per lui una figura trasversale: il sales producer. Questo suo ruolo è cresciuto a tal punto all’interno del suo team locale, che dopo 5 anni con Yahoo! Italia gli è stato chiesto di svolgere lo stesso compito a livello EMEA (Europe, Middle-East and Africa) e per questo motivo si è trasferito a Londra, nel 2009, dove è rimasto per un paio di anni. Il team di sviluppatori e designer di cui era project manager e che si occupava di costruire minisiti e concorsi e nuove property per conto di Yahoo! o per terzi (es. Coca-Cola) ha subito una riorganizzazione. Questo l’ha portato a collaborare con team collocati in Costa Rica e India. Alessandro in cerca di nuove opportunità ha deciso di unirsi a Potato, una piccola azienda che lavora al 90-95% per Google, nel ruolo di Head Project Manager, dove è rimasto per un anno, fino al 2012. Qui lavorava a stretto contatto col team di Google su progetti importanti come il Google ArtProject. Il progetto è stato lanciato in tempo e in budget, ottenendo un ottimo prodotto, ma il team costituito di 25 persone, tra designer e sviluppatori, ha dovuto lavorare a ritmi serrati per 6 mesi, rendendo così la gestione molto stressante. Ad Alessandro arriva quindi un’offerta da GroupM-Italia, umbrella company dei principali centri media italiani.
Il ritorno in Italia ha fatto riflettere Alessandro sulle differenze fra le culture aziendali dei due paesi, facendogli realizzare che quella anglosassone risponde maggiormente ai suoi bisogni. Il motivo è da ricercarsi in un maggiore rispetto delle regole e dei processi, in una maggiore meritocrazia ed una generale attitudine ad organizzare il lavoro in maniera efficace.
Questo ha portato Alessandro a tornare a Yahoo! UK, dove è entrato a far parte di un team a cavallo tra advertising e sviluppo di prodotto. Il progetto consisteva nel gestire un team di designer e sviluppatori, che si occupavano della creazione e del mantenimento del framework e di un certo numero di applicazioni. Dopo due anni in quel team ha deciso di intraprendere una nuova carriera ed è approdato a rightmove.co.uk
Di che cosa ti occupi esattamente a rightmove.co.uk.?
Il mio ruolo è di Product Development Team Lead, a capo di 8 tecnici esperti. Fondamentalmente il mio team deve sviluppare prodotti on line, ci occupiamo della parte dedicata ai clienti (real estate agents), più che agli utenti. Si tratta di applicazioni che consentono agli operatori di settore di caricare contenuti e dati relativi agli immobili del territorio britannico. Lavorando con la metodologia “agile” abbiamo a che fare giornalmente sia con chi sviluppa il prodotto al livello di codice, che con i clienti, dobbiamo sapere bene i loro problemi e metterci nei loro panni. Noi italiani siamo bravi nel far tutti felici, nel trovare compromessi, abilità molto apprezzata in UK. Il mio è un ruolo di relazione, di prodotto e di gestione delle risorse in maniera ottimale. Quello che può essere visto come un ostacolo da altri, può essere trasformato da noi in un vantaggio, in un’ottica di win-win solutions.
Carriera internazionale: scelta personale o professionale?
Da un lato il fatto di aver raggiunto già una certa posizione in Italia e di avere avuto una opportunità di crescita professionale all’estero mi ha spinto al trasferimento. Col senno di poi, forse, mi sarei spostato all’estero prima, magari facendo uno o due passi indietro a livello di ruolo o retribuzione. Credo però che il fatto di voler andare all’estero sia più una sensazione di “pancia” e di vocazione. Nei due anni in cui sono tornato in Italia mi è mancato moltissimo il fatto di conoscere gente da tutto il mondo, di lavorare in team con persone di cultura diversa, da cui puoi assorbire tanto e che possono a loro volta assorbire da te. Il melting pot è un valore aggiunto molto appagante. E’ fondamentale ed arricchente capire come funzionano le cose all’estero, per esempio gli americani sembrano avere un talento naturale nell’approcciare le presentazioni e nel vendere le idee, perché a scuola insegnano a dibattere e a parlare in pubblico.
Skills: mercato estero vs mercato italiano
Il grosso svantaggio dell’Italia è che si esce troppo tardi dal sistema formativo, mentre il valore aggiunto del Master è l’approccio “learning by doing”. I giovani in UK escono dall’università verso i 22 anni ed iniziano a lavorare immediatamente, con il vantaggio di conoscere la cultura locale e di avere le skill linguistiche. Io sono entrato nel mercato del lavoro verso i 26-27 anni, quindi con 5 anni di ritardo, il che rende più difficile inserirsi, al di la dei problemi con la lingua. Se ti occupi di marketing o comunicazione è fondamentale riuscire a catturare l’attenzione del pubblico utilizzando giochi di parole e slang. Tuttavia a livello interpersonale e nei lavori di people management, serve avere una cultura simile alla nostra e un background sia classico che scientifico. Quello che ci svantaggia moltissimo e crea un gap quasi incolmabile è il non occuparci di problemi veri, fino alla prima esperienza lavorativa. Io sono stato fortunato, perché dopo 5 anni avevo una posizione e una reputazione abbastanza buona con i colleghi con cui già lavoravo dall’Italia, quindi per me è stato più facile muovermi all’estero, occupare una certa posizione, avere un certo stipendio e carico di responsabilità.
Quanto conta il livello di specializzazione e quanto può diventare limitante?
A Londra è difficilissimo uscire dalla “gabbia” del ruolo precedente perché c’è poca fiducia nel potenziale. Cercate di cogliere tutte le occasioni che vi si presentano, ma allo stesso tempo cercate di pilotare il vostro destino verso quello che vi piace e soprattutto informatevi moltissimo per essere sempre aggiornati.
Consiglieresti una carriera internazionale come profilo junior o senior?
Entrare come Junior è più facile se ti accontenti di fare lavori molto operativi, per esempio nell’ambito online (trafficker o Ad Operations) un lavoro che consiste nel gestire le campagne on line. Si tratta di un ottimo entry-point per chi arriva dall’estero perché non è richiesto avere una perfetta padronanza della lingua o un background tecnico. Entri come un piccolo, ma fondamentale ingranaggio di un meccanismo complesso e questo ti permette di capire come funziona tutta la macchina.
Secondo me all’estero riconoscono a noi italiani una capacità molto ricercata: il fatto che la nostra cultura sia purtroppo basata sul principio dell’eccezione (piuttosto che delle regole rigide) ci ha dato una forma mentis che – se operante in un sistema denso di regole – ci aiuta a trovare soluzioni innovative, ad applicare la nostra creatività, usando il sistema di regole come confini all’interno dei quali ci muoviamo probabilmente meglio di altre culture.
Per entrare come Senior é necessario avere tanta fortuna o essere un “guru” in un ambito scientifico: se sei il migliore nel tuo campo, a prescindere anche dal livello linguistico, porti così tanta expertise da essere valutato meglio. In linea di massima, andare all’estero quando si ha già una posizione presenta molti più ostacoli soprattutto nel marketing e nella comunicazione, dove conta molto conoscere la cultura locale.
Tre consigli per una carriera internazionale?
- Fatelo presto, il prima possibile
- Progredendo nella carriera è vitale che facciate quello che vi piace
- Conta più l’esperienza sul campo e se vi capita un’occasione, anche se poco appealing, prendetela e fate esperienza, invece di cercare il ruolo giusto.
Impatto con la cultura locale vs. rientro in Italia?
A livello di rapporti interpersonali il Regno Unito è un posto strano: al pub sono tutti i tuoi migliori amici, appena dopo un paio di birre si aprono e si raccontano, poi in ufficio quasi non ti salutano. E’ dura perché noi siamo molto più aperti e abituati alla condivisione. Dall’altro lato però qui sono molto più organizzati rispetto all’Italia. Ricordo che quando lavoravo per Yahoo! Italia e dovevamo contattare qualche ufficio all’estero alle 17:30 non trovavamo già più nessuno e scherzavamo sul fatto che a fine orario di lavoro facessero “cadere la penna”, invece è esattamente il contrario.
Spesso qui si mangia al desk, ci sono poche pause caffè, mentre in Italia abbiamo riti diversi. A Londra ottimizzano, hanno meeting uno dietro l’altro, l’agenda è piena sin dalle 9:15, alle volte ci sono meeting anche durante la pausa pranzo. Devo dire che gli Inglesi sfruttano meglio la giornata, sono più organizzati e non importa rimanere fino a tardi per farsi notare dal capo, anzi fare costantemente tardi, viene visto come bisogno di più risorse o come un problema di organizzazione.
Penso di restare qui ancora non più di un paio d’anni, mi piacerebbe cambiare paese un’altra volta prima di tornare in Italia, magari Amsterdam, Copenhagen o il Canada. Sono proiettato sul rimanere all’estero, almeno per un po’.