A cura di: Erika Borlin, Giovanna Francaviglia, Martina Fratini, Roberta Giuseppina Iurato, Paola Nisticò, Sara Sini – Master in Risorse Umane e Organizzazione 2019-2020
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Il nostro lavoro ha avuto come fine quello di ricercare e analizzare quali potessero essere, quanto meno da un punto di vista teorico, le competenze digitali minime per il management. Competenze che alla fine risultano non univocamente correlate al management ma che di fatto costituiscono, per ora, il fulcro attraverso cui la formazione opera.
Questa ricerca si struttura e si sviluppa attraverso tre capitoli:
Nel primo capitolo, di natura più introduttiva, abbiamo tentato di definire il concetto di digital transformation, inquadrando quindi il contesto di riferimento della nostra analisi. Abbiamo toccato quindi il tema dell’impatto subito dalle imprese ad opera di questa trasformazione. Avere successo oggi nel mercato del lavoro ha come prerequisito quello di fare propria questa rivoluzione all’interno del proprio core business. Quello di cui ci si deve preoccupare è creare una cultura digitale: questo significa porsi come primo obiettivo, quindi pre-mettere, quello di essere consapevoli che per stare al passo non basta adottare nuove competenze ma educare e farsi educare nell’adozione di questi potenti strumenti.
Si rende quindi necessaria una riconfigurazione a livello strutturale nell’impresa: la cultura digitale ci impone un mindset diverso. Bisogna ricominciare a pensare con le lenti del digitale: il mercato del lavoro cambia e cambia anche il mio modo di porsi su questo territorio. Di fatto, la digital transformation non va solamente a riconfigurare i modelli di business e le strategie ma cambia le persone. Questo salto crea paura nei soggetti che ne partecipano anzitutto perché accedere alla consapevolezza di questa partecipazione non è affatto scontato. Subire più che partecipare, appunto perché spesso manca una adeguata preparazione e di conseguenza mancano la abilità per la gestione dei nuovi strumenti. La paura più diffusa infatti si costituisce nel paradosso occupazionale: la digital transformation crea effettivamente nuovi posti di lavoro, ma la percezione è opposta.
Oltre a creare nuovi sbocchi occupazionali, il digitale apporta benefici a livello personale e di carriera: apporta una maggiore efficienza, una migliore operatività riducendo contemporaneamente i costi. Mancanza di formazione adeguata, di team adibiti e budget dedicati, ostacolano il completo conseguimento di questa trasformazione all’interno dell’impresa. E poi, se l’essenza del lavoro manageriale consiste nel potere direttivo, organizzativo e di controllo, il rischio di un ridimensionamento della sfera di influenza di questo ruolo diventa un potenziale fattore ostacolo. Ostacolo che viene superato capendo che l’essenza del lavoro manageriale sta semplicemente cambiando forma.
La funzione dell’HR manager assume qui un ruolo chiave.
Nel secondo capitolo chiariamo che cosa sia la cittadinanza digitale osservando come in realtà il 44% della popolazione europea non possieda nemmeno le competenze digitali di base. Il tema del digital divide si trova in primo piano: vediamo come ci sia un effettivo scarto tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e l’effettiva presenza delle stesse nell’Impresa. Reskilling, mentoring, reverse mentoring, coaching diventano le modalità attraverso cui acquisire questo bagaglio di competenze. Sono cinque le macro aree su cui l’HR ricopre un ruolo fondamentale: digital poeople strategy; digital change capability; digital people care; data driven and analysis; tools and channels. Troppe poche aziende, soprattutto in Italia, possiedono gli strumenti adatti alla formazione dei propri dipendenti, anche per una questione di costi.
Il terzo capitolo ha assolto la funzione di unire i punti della riflessione: ancora una volta siamo partiti dal tentativo, fallace, di tracciare i confini della digital transformation, di definire l’ambito d’azione del digitale. Servendoci del racconto di chi prende parte a questa rivoluzione come attore principale, abbiamo capito come il fatto di problematizzare questa dinamica sia un aspetto profondamente educativo. Preoccuparsi di come Uomo e Tecnica possano interagire al meglio passa attraverso l’acquisizione complementaria di competenze digitali (scientifiche) e competenze umane.
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