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Conoscere IBM attraverso i valori di Alessandro Ferrari

A cura di Annarita Amatomaggio, Elena El Attrache.

Presso le aule dei Master in Risorse Umane e Marketing di ISTUD, è intervenuto Alessandro Ferrari, responsabile delle Relazioni Esterne di IBM Italia da più di dieci anni.
Nel ruolo, che rientra nella più ampia direzione Marketing e Comunicazione guidata da Cristina Farioli, Alessandro ha la responsabilità di gestire il rapporto con i giornalisti e con gli analisti IT, senza dimenticare altri importanti stakeholder e influencer con cui l’azienda ha bisogno di mantenere stabili e proficui sistemi di relazione. L’obiettivo, attraverso la declinazione in chiave locale di piani di comunicazione della Corporation, è sostenere la reputazione del brand e favorire lo sviluppo delle strategie di business dell’azienda.

Proveniente da studi in Scienze Politiche, in cui si è laureato presso l’ateneo di Genova, Alessandro ha sempre avuto la passione per il giornalismo. L’opportunità di collaborare con un settimale sportivo di Novi Ligure, durante gli anni universitari, gli offre nel 1989 la possibilità di iscriversi all’albo professionale come pubblicista.

Nel 1993, dopo un master breve presso l’ISFORP (Istituto di Studi e Fomazione per le Relazioni Pubbliche di Milano, tenuto da esperti come Pietro Gimelli, Marco Squarcini e Franco Perugia) comincia il mestiere di comunicatore presso alcune agenzie del settore. Di qui passa a un’associazione confindustriale – l’UNCSAAL, Unione Nazionale Costruttori Alluminio Acciaio e Leghe – dove resta tre anni occupandosi di ufficio stampa e di comunicazione interna gestendo l’house organ.
Negli anni successivi, rientra nel mondo delle Agenzie di Relazioni Pubbliche allargando le competenze anche alla consulenza per marchi dell’Information Technology. Dopo un’importante biennio formativo a fianco di Silvio Sircana, esperto di Corporate Communications, nel 2001 viene assunto in Italtel e lavora a riporto del l’allora Direttore delle Relazioni Esterne, Dario Faggioni, ricoprendo l’incarico responsabile delle Media Relations e degli Affari Istituzionali.
Nel 2004 lascia l’azienda di tlc perché chiamato da IBM Italia come Media Relations Manager, incarico che ricopre fino al 2009 quando passa al ruolo attuale di External Communicatons Leader.

Dal 2008 al 2013 è stato stato anche docente di Media Relations presso ALMED, Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Al termine del racconto delle proprie esperienze personali e professionali, Alessandro Ferrari ha dedicato ampio spazio alla IBM, brand che da oltre un secolo esprime una forte leadership in ogni dimensione tecnologica.

Oggi IBM è un’impresa integrata a livello globale, con oltre 400mila dipendenti in 170 paesi. Nel 2013 ha realizzato un giro d’affari di 99,8 miliardi di dollari. All’attività di ricerca, sviluppata in 10 centri a carattere globale e in oltre 60 laboratori sparsi in tutto il mondo – uno a Roma, con oltre 500 specialisti – sono dedicati investimenti annuali superiori ai 6 miliardi di dollari.
Da 22 anni consecutivi, l’azienda mantiene il record nel numero di brevetti: 7534 nel 2014, in pratica uno ogni quattro ore. Il contributo viene da 8000 scienziati e ricercatori di 43 Paesi, Italia compresa.

IBM non è stata solo pioniera dell’informatica e della scienza del computer, di cui ha scritto pagine di storia tra le più importanti e di cui detiene tutt’ora primati indiscussi. A IBM infatti si devono molte delle invenzioni, di cui tutti quotidianamente beneficiamo e non è quindi un caso se, nel corso del Novecento, cinque suoi dipendenti sono stati insigniti del premo Nobel.
L’elenco delle innovazioni è ampio e diversificato: citando solo alcuni esempi si va dall’UPC Bar Code – ideato nel 1949 e adottato negli anni ‘70 dal settore della distribuzione – alla tecnologia laser utilizzata nella chirurgia oculare (1981), dal floppy disk (1967) al microscopio a effetto tunnel per esplorare la dimensione atomica della materia (1981), dalla striscia magnetica delle carte di credito (anni ’70) ai superconduttori ad alta tecnologia (inizio anni ottanta), dal ‘cell broadband engine’ per la Playstation 3 (anni 2000) fino ai supecomputer per il calcolo massivo capaci di infrangere la barriera dei petaflops (misura equivalente a un migliaio di trilioni di operazioni in virgola mobile al secondo) e applicati alla medicina, alla meteorologia, alll’astrofisica e a molti altri campi della ricerca scientifica e industriale.
In mezzo, restano avventure straordinarie come il contributo alla conquista dello spazio guidando l’allunaggio di Apollo 11 nel 1969, la creazione del primo personal computer (1981), la sfida di IBM ‘Deep Blue’ al campione mondiale di scacchi nel 1997, il progetto Genoma Umano concluso nel 2003, il Genographic Project del 2005 capace di ricostruire la mappa delle migrazioni umane con l’analisi del DNA e il World Community Grid che resta la più ampia rete pubblica di computer al mondo a sostegno dei grandi progetti di ricerca.
Dal 1911 IBM non ha mai smesso di trasformarsi per anticipare e adattarsi ai cambiamenti – di qui l’attuale focalizzazione di businees in aree come il Cloud, gli Analytics, il Mobile, il Social e la Security – precorrendo nuove strade e aprendo sempre nuove frontiere per l’innovazione.
La tecnologia, lo sappiamo, è ormai parte di tutti gli aspetti del modo in cui il nostro mondo funziona: nei sistemi e nei processi che permettono di erogare i servizi e di progettare, costruire e vendere i beni strumentali. E’ in tutte le cose, dal petrolio all’acqua. Permette agli elettroni di muoversi e a miliardi di esseri umani di lavorare e vivere.

A testimoniarlo sono i numeri: 1 miliardo di transistor per ogni essere umano (ognuno dei quali costa un decimilonesimo di centesimo di dollaro), 4 miliardi di telefoni cellulari e 30 miliardi le etichette RFID. Il che è sufficiente a rendere l’idea della densità tecnologica in cui siamo tutti immersi.

Ma il pianeta è anche interconnesso, con oltre 2 miliardi di persone su Internet e i sistemi e gli oggetti d’uso quotidiano possono “parlarsi” dando vita a ciò che conosciamo come “Internet of Things”. La vera sfida però è il moltiplicarsi dei dispositivi in rete. Si prevede che raggiungeranno quota 50 miliardi, tutti collegati tra loro, entro il 2020.

In questo Smarter Planet, un pianeta più intelligente, i dispositivi collegati tra loro creano enormi quantità di dati – ormai zettabyte di dati – a grande velocità e al ritmo di centinaia di gigabyte al secondo. Dati in forma digitale che, grazie a tecniche di analisi avanzate e a supercomputer sempre più potenti, possono ora essere trasformati in conoscenza per rendere i sistemi, i processi e le infrastrutture più efficienti e produttive se applicate alla soluzione dei problemi: dalla congestione del traffico alle reti elettriche intelligenti, dalla gestione intelligente dei rifiuti alla sanità.

La sfida ha condotto IBM a investire con decisione nei computer cognitivi, macchine che utilizzano avanzati algoritmi e quindi sistemi di Deep Q&A (Question & Answers) – la tecnologia degli analytics – per poter comprendere il linguaggio naturale (il nostro quindi), effettuare un’analisi statistica della domanda, cercare tra una quantità di dati contenuti in milioni di fonti per dare un rilievo statistico alle possibili risposte e, infine, essere in grado di trovare la soluzione. Il tutto entro un paio di secondi. Così è nato Watson.

Con queste caratteristiche, cui si uniscono capacità di autoapprendimento, Watson ha sfidato e battuto l’uomo al famoso tv quiz americano Jeopardy. Ma ciò che più importa è che ha immediatamente aperto nuove prospettive di applicazione alla tecnologia – dalla medicina alla pubblica amministrazione, dal commercio alla finanza – tanto da diventare una delle più promettenti aree di business di IBM.

Watson è già al lavoro negli Stati Uniti a fianco di medici e ricercatori di importanti organizzazioni. La ricerca clinica, l’attività di diagnosi e di trattamento dei pazienti hanno quindi un importante alleato. Nello stesso tempo, non solo è in fase di training in altri settori d’industria, ma è stato ormai reso disponibile via cloud a startup e partner proprio per facilitare la nascita di ‘app’ che daranno vita a business innovativi.

La strada è dunque aperta verso una nuova era di sistemi intelligenti: sistemi che hanno la capacità di imparare, usano tecniche e funzioni analitiche estremamente avanzate, sono integrati verticalmente e ottimizzati in base a quello che devono fare in modo da svolgere molto bene determinati lavori. Che, in breve sono diversi rispetto ai calcolatori programmabili di tipo generico, dominatori nel XX° secolo. E questo è il mondo in cui IBM vuole continuare a fare da guida, a vantaggio dei proopri clienti e della società nel suo complesso.

Siamo rimasti davvero colpite dalla testimonianza, non soltanto per le capacità professionali di Alessandro Ferrari, ovvero dalla sua versatilità nel rimettersi sempre in gioco, dalla sua forte motivazione e da un senso della misura che lo inducono a considerarsi un “onesto mestierante”.
Durante la sua presentazione infatti non ha mai utilizzato il termine “professionista” per definirsi, proprio perché ritiene di aver “imparato un mestiere” seguendo una deontologia professionale con cui potersi costruire una solida reputazione.
Per chi, come noi, sta per affacciarsi al mondo del lavoro, tutto questo può fare da positivo esempio.

 

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Elena Najat El Attrache

Elena Najat El Attrache

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