0

Come la tecnologia influenza il ruolo del professionista per rispondere ai bisogni dei pazienti in una società che invecchia

Rosa Ilaria Lupoi, studentessa della XIX edizione del Master Scienziati in Azienda, ha vinto una delle due borse di studio in palio per il miglior elaborato sul tema “Il progresso tecnologico in un mondo che invecchia”.

Il rapporto biennale dell’OCSE “Health at a Glance 2017”, fornisce i dati più aggiornati che riguardano indicatori chiave dei sistemi sanitari di 35 Paesi membri. Tra questi, un dato importante riguarda l’incremento della speranza di vita in tutti i Paesi dell’OCSE, in cui l’Italia occupa il “quarto posto” in classifica. Tuttavia, l’ottimo risultato in termini di longevità della popolazione italiana non si accompagna a buone condizioni di salute della popolazione anziana: solo il 30 per cento degli over-65 italiani ha dichiarato nel 2015 di essere in buona salute contro una media OCSE del 44 per cento.

L’aumento della speranza di vita risulta inoltre contrapposto ad una diminuzione della natalità che, secondo gli ultimi dati Istat, nel 2017 ha raggiunto il minimo storico dai tempi dell’Unità d’Italia.
Una società che invecchia male ha importanti ripercussioni su tutti gli aspetti della società e, in particolare, ha una ricaduta sul Sistema Sanitario del Paese: una popolazione che vive più a lungo correla con una frequenza maggiore di malattie croniche, patologie neurodegenerative, tumori e problemi muscoloscheletrici. Conseguenza diretta di tale fenomeno è una maggiore richiesta di assistenza sanitaria a lungo termine. Nel contempo, la diminuzione dei tassi di natalità determina una minore offerta di lavoro e di entrate fiscali nelle casse dello Stato, cosa che rende la spesa pubblica per la salute non più sostenibile. Per soddisfare le esigenze di una forza lavoro più anziana e con problemi di salute saranno dunque necessarie nuove soluzioni per limitare la perdita di produttività innescata da problemi di salute di una società che invecchia.

Gli obiettivi che si profilano per i Paesi dell’OCSE per rispondere alla sempre maggiore richiesta di cure e assistenza di una “aging population” sono principalmente due: il riorientamento dei servizi intorno ai bisogni della popolazione anziana e il miglioramento della qualità dei servizi stessi, dalla prevenzione all’assistenza. L’applicazione della tecnologia nella sanità costituisce dunque un’opportunità unica, perché consente agli Health-providers di migliorare il percorso di salute (dalla prevenzione alla cura) di tutte le fasce demografiche della popolazione, in modo sostenibile e in tempi relativamente rapidi.

Un tipo di tecnologia applicata alla medicina potrebbe, in un futuro non troppo lontano, determinare un cambiamento sostanziale nel ruolo del professionista, influenzandone il lavoro, il modo in cui gestisce le risorse, la comunicazione e la condivisione delle proprie conoscenze con i pazienti e i colleghi.

Ad oggi, sono diverse le tecnologie già applicate alla Sanità. Basti pensare ai servizi digitali per i cittadini, che sono sempre più diffusi: ad esempio, vi sono totem self service all’interno di strutture come farmacie e supermercati, si può effettuare il download dei referti via web, o prenotare online o tramite app esami, visite e accessi al centro prelievi. Queste piattaforme digitali sono estremamente utili per i fruitori, i quali ottengono un risparmio di tempo e denaro non dovendo più viaggiare per effettuare alcune operazioni, ma sono anche una risorsa per il sistema sanitario, che può affidarsi ad una gestione del flusso di pazienti in maniera virtuale e automatizzata.

Altre tecnologie che si stanno affacciando nel panorama sanitario sono i wearables, devices indossabili (come gli smartwatches) per il monitoraggio dell’attività fisica, cardiaca, del sonno e dei livelli di stress che incoraggiano stili di vita più sani. Questi sistemi hanno un’enorme potenzialità, in quanto possono evolvere in veri e propri dispositivi medici utili per il monitoraggio di pazienti ventiquattr’ore al giorno. Ad esempio, diversi centri di ricerca stanno sviluppando delle tecnologie all’avanguardia, come dispositivi epidermici per la rilevazione di parametri fisiologici o dispositivi commestibili per la diagnostica in grado di rilevare stati infiammatori o di monitorare la cinetica di un farmaco, tutti in grado di comunicare con una piattaforma esterna per trasferirvi i dati rilevati.

In futuro, i wearables saranno in grado di assicurare il controllo dei più diversi parametri, dai livelli di glucosio nel sangue, all’attività cardiaca a quella cerebrale. Per i professionisti, i vantaggi che deriverebbero dalla loro applicazione in medicina sono diversi: sarebbero in grado di ricevere notifiche su segnali di criticità o di emergenza rilevati sui pazienti in modo di intervenire tempestivamente, evitano loro di sottoporre i pazienti a lunghe o ricorrenti ospedalizzazioni, limitano il numero di analisi ed esami clinici superflui da prescrivere. Questi dispositivi, inoltre, facilitando la cura domiciliare, permettendo ai professionisti di gestire i pazienti in maniera efficace anche al di fuori dell’ospedale. Questo comporta una facilitazione della gestione del carico di lavoro e un notevole risparmio di risorse, le quali possono venire così più facilmente ottimizzate: il personale socio-sanitario e le strutture stesse possono essere utilizzati per i pazienti che risultano affetti da patologie più gravi o che necessitano di un’ospedalizzazione prolungata.

Inoltre, i social media (blogs e microblogs come Twitter, content communities come Youtube e Social networks come Facebook) sono un ulteriore esempio di una tecnologia che viene sempre più utilizzata dai cittadini di tutte le età per la condivisione di contenuti riguardanti il benessere e la ricerca di informazioni sulla salute. Il maggiore rischio connesso a questo è dato dal fatto che, molto spesso, gli utenti sono vittime del confirmation bias, quel meccanismo in base al quale si è portati a visualizzare e a credere a quei post, video o tweet che confermano convinzioni già consolidate ma non sempre supportate da evidenze scientifiche. In tale contesto, da diversi anni, alcuni medici e ricercatori hanno compreso come i social possano divenire dei canali più che validi per promuovere, in modo attivo e partecipativo, contenuti riguardanti la promozione della salute, e la diffusione di informazioni accreditate sui temi delle malattie e della loro cura.

Un esempio è dato dal professor Roberto Burioni, un medico che ha deciso di utilizzare i social per la divulgazione medico-scientifica sui vaccini e che, mediante questa operazione, ha avuto un’esplosione di followers sul suo profilo, divenendo un Key Opinion Leader in grado di influenzare cittadini, pazienti e colleghi.

Con l’evoluzione e l’applicazione in medicina della tecnologia anche la ricerca clinica e traslazionale ha tutte le potenzialità di rivoluzionare la medicina, dalla diagnosi alla terapia. Ad esempio, la terapia genica è sempre più utilizzata per correggere le mutazioni causali di malattie monogeniche o per indurre mutazioni terapeutiche o protettive nei tessuti somatici per il trattamento delle malattie polieziologiche. Un altro esempio è dato dagli organs-on-chips, veri e propri organi in miniatura derivati dalle cellule del paziente, che consentiranno al personale sanitario di testare e valutare la risposta in-vitro ad un trattamento prima ancora che venga applicato sul paziente.

Tutto questo è soltanto un piccolo spaccato della realtà attuale e delle enormi potenzialità che ha l’applicazione della tecnologia alla sanità. Vi sono infatti altri strumenti innovativi che si stanno affacciando sul panorama sanitario e che sono destinati a influenzare il lavoro del professionista. Ad esempio, il fascicolo sanitario elettronico (FSE) che, ad oggi, è stato adottato solo da poche regioni. L’FSE è un sistema che integra tutte le informazioni cliniche del paziente e che permette l’accesso da remoto a questi dati. Nel fascicolo vengono registrati, ad esempio, la storia clinica del paziente, i parametri clinici e vitali, i referti di indagini radiologiche e strumentali, le prescrizioni e le somministrazioni di farmaci, le allergie e le intolleranze. Si può speculare che, col tempo, anche i dati raccolti dagli wearables in tempo reale potranno essere inseriti all’interno dell’FSE. La struttura paziente-centrica di questo sistema rappresenta un salto culturale di notevole importanza, perché permette ai sanitari di gestire meglio i processi operativi, migliorano di molto la qualità dei servizi offerti e costituiscono un’opportunità di confronto “a portata di click” tra professionisti sanitari. L’FSE ha anche altri vantaggi: può facilitare e garantire la continuità assistenziale, agevolare l’individuazione tempestiva di anomalie o dare indicazioni immediate sui progressi nel piano di riabilitazione concordato.

Anche il paziente può accedere ad una sezione dedicata, cosa che gli consente di gestire e condividere le proprie informazioni cliniche con gli operatori sanitari in tempo reale. In questo modo il paziente collabora attivamente con il personale medico nella gestione del proprio processo di cura e viene accompagnato con più facilità nel miglioramento del proprio stile di vita. Nel contempo, l’operatore sanitario ha a disposizione uno strumento che fornisce un accesso online ad una panoramica estremamente precisa, completa e aggiornata della situazione clinica del paziente. Tutto questo permette al professionista di avere, in una singola piattaforma, un insieme eterogeneo di dati riguardanti la storia clinica del paziente e di gestire selezionare e analizzare solo le informazioni utili per effettuare con più certezza una diagnosi precoce e migliorare l’esito delle terapie farmacologiche.
Un’applicazione del FSE a livello nazionale ridurrebbe notevolmente il carico di lavoro dell’operatore sanitario poiché verrebbe meno per lui la necessità di dover raccogliere da capo la storia clinica di ogni paziente, le sue allergie, la sua terapia farmacologica ad ogni ad ogni accesso ospedaliero o ambulatoriale.

La grande potenzialità dell’FSE è data inoltre dalla quantità enorme di informazioni cliniche disponibili. L’analisi di questi Big Data attraverso l’applicazione della machine learning potrebbe permettere di fare predizione sui più diversi aspetti sanitari dalla diagnosi precoce, alla valutazione ai rischi per la salute e all’impatto dei diversi trattamenti. Ad esempio, si potrebbe calcolare la probabilità del paziente di contrarre una malattia, il che permetterebbe al medico di effettuare una diagnosi preventiva e facilitare la prescrizione della terapia più efficace. Un altro esempio è dato dalle immagini mediche, che potranno essere utilizzate per sviluppare algoritmi di deep learning che consentano l’individuazione di eventuali tessuti cancerosi. O ancora, nella ricerca medico-scientifica, gli algoritmi potrebbero essere utilizzate per prevenire lo scatenarsi e il dilagarsi di epidemie.

Tuttavia, nonostante le diverse applicazioni tecnologiche consentano alla Sanità di gestire meglio le risorse e a medici, infermieri, operatori sociali e terapisti di offrire una migliore performance professionale, la digitalizzazione rischia di ridurre il paziente ad un insieme di dati oggettivi, spogliato della sua individualità e unicità. Questo potrebbe andare a discapito della costruzione di un rapporto di fiducia che aiuti il paziente avere una maggiore consapevolezza del proprio stato e delle proprie necessità, specialmente nel momento in cui si trova ad affrontare decisioni difficili sulla propria salute.

Le piattaforme digitali, come il FSE, tuttavia, potrebbero venire in soccorso anche in questo senso, grazie all’impatto positivo che avrebbero sui tempi della visita. Infatti, grazie all’ottimizzazione della gestione e del carico di lavoro che offrono, la finestra temporale prima dedicata alla raccolta dei dati utili alla diagnosi verrebbe di molto ridotta, a beneficio di un prolungamento del tempo della visita, che potrebbe venire dedicato all’ascolto dei bisogni del paziente, di suoi nuovi o mutati sintomi clinici e necessità terapeutiche e assistenziali. È proprio in questo contesto che si rende sempre più esplicita la necessità di una profonda connessione emotiva tra sanitari e pazienti: diviene necessario che il personale sviluppi nuove capacità comunicative ed empatiche per garantire al paziente un’esperienza di cura che lo ri-soggettivizzi come individuo per ricostruire, insieme a lui, il senso del corpo malato. Questo tipo di modello empatico è proprio della Narrative-based Medicine (o Medicina Narrativa), che ha la prerogativa di offrire all’operatore una metodica per la rilevazione del vissuto soggettivo della malattia, in modo che la narrazione della patologia possa consentire al professionista di comprendere a fondo i problemi e bisogni del malato. Le conseguenze dirette dell’applicazione di questo nuovo approccio paziente-centrico saranno molteplici. Le relazioni tra i vari attori potranno migliorare: avendo l’opportunità di esprimere stati d’animo e disagi, i pazienti verranno meglio compresi, avranno la possibilità di prendere decisioni sul proprio stato di salute in maniera meglio informata e più convinta, e potranno condividere testimonianze che aiuteranno altri pazienti; d’altra parte, i professionisti riusciranno ad avere una visione a tutto tondo della situazione del paziente e potranno andare incontro in modo più mirato e consapevole alle sue esigenze, proponendo terapie su misura e dei servizi sanitari e assistenziali più mirati.

Queste innovazioni portano con sé una concezione sempre più patient-driven e sempre meno disease-driven della salute: ogni cittadino non sarà più essere fruitore passivo di servizi, ma avrà l’opportunità di assumere il ruolo di protagonista, attivo e proattivo nella gestione del proprio benessere. Nel contempo, il professionista manterrà il suo ruolo fondamentale nella tutela della salute: la sua conoscenza della patologia e la sua competenza nella ricerca, nella diagnosi, nella relazione con il paziente, nella cura e in ogni attività che esiga una base cognitiva complessa sono e restano insostituibili. Tuttavia, trovandosi di fronte alla necessità di utilizzare nuovi strumenti di supporto necessari nella conduzione del processo di cura dovrà sviluppare specifiche competenze trasversali: il sense-making, ovvero il pensiero critico, avrà un’importanza ancora più cruciale per prendere delle decisioni clinico-terapeutiche; la social intelligence, ovvero la capacità di interagire con gli altri e creare delle relazioni, sarà centrale per rafforzare il rapporto con il paziente, ma anche per instaurare un numero maggiore di collaborazioni professionali; la gestione del carico informativo sarà strumento cruciale per il management dell’enorme quantità di dati disponibili; il pensiero computazionale sarà essenziale per la selezione ottimale di dati clinici disponibili, per trarne dei ragionamenti e per impostare al meglio il processo terapeutico.

Da questo rinnovamento del sistema sanitario è probabile che si assisterà anche all’avvento di un nuovo approccio alla tutela della salute: poiché alcune tecnologie permettono di fare predizione, la sanità si sta già spostando dal concetto di “curare” al concetto di “prevenire” le patologie. Si potrebbe dunque speculare che il professionista dovrà, almeno in parte, riorientare le proprie priorità da quelle di tipo assistenziale a quelle di tipo preventivo, incentrate sul miglioramento dello stile di vita del cittadino. Quest’ultimo aspetto potrà avere degli effetti molto positivi sulla sua qualità della vita, che si rifletteranno su una maggiore probabilità di crescere e invecchiare in buona salute.

È proprio grazie a questa rinnovata importanza della promozione di uno stile di vita sano in un’ottica di prevenzione che medici e ricercatori avranno l’opportunità di ottenere una maggiore popolarità grazie alla visibilità dei social media. Tramite delle operazioni di personal branding, infatti, i professionisti potranno divenire dei veri e propri health influencer: potranno postare contenuti che riguardano l’importanza della prevenzione delle patologie, di una corretta alimentazione, dell’attività fisica, e istruire gli utenti nella conoscenza di determinate patologie. D’altra parte, la qualità del lavoro di divulgazione svolto consentirebbe loro di ottenere una maggiore notorietà da parte del mondo scientifico e divenire Key Opinion Leaders nel settore.

Concludendo, si può affermare che la tecnologia è uno strumento in grado di offrire maggiori servizi al paziente e di migliorare la qualità della pratica clinica, tramite il potenziamento delle possibilità diagnostiche, curative e collaborative del professionista. Tutto questo si tradurrà in empowerment del paziente, che avrà maggiori opportunità di accedere a delle cure personalizzate attraverso un sistema sostenibile e innovativo. Anche il professionista otterrà un empowerment: l’applicazione della tecnologia avrà dei risvolti positivi nella pratica clinica e si accompagnerà alla necessità di sviluppare nuove competenze trasversali per proporre al malato il miglior percorso di cura. In più, l’ottimizzazione della gestione del lavoro del carico del lavoro andrà a vantaggio anche di un’ottimizzazione del tempo da dedicare ai pazienti. Questo costituisce una risorsa preziosa per il professionista, a cui verrà restituita l’opportunità e il piacere di dedicarsi al meglio a
ciò che costituisce il fulcro della sua professione: prendersi cura delle persone.

Facebooktwittergoogle_pluspinterestlinkedintumblrFacebooktwittergoogle_pluspinterestlinkedintumblr
Rosa Ilaria Lupoi

Rosa Ilaria Lupoi

Lascia un commento