Intervista a Emilio Paccioretti – HR Manager FAI a cura di Chiara Beolchi, Noemi Billeci, Iolanda Tartaglia, Lucia Vargiu del Master in Risorse Umane ISTUD 2013-2014
FAI-Fondo Ambiente Italiano, Fondazione Nazionale senza scopo di lucro, nasce nel 1975 da un’idea di Elena Croce, figlia del grande filosofo Benedetto Croce, che si prefigge di emulare il National Trust inglese. “FAI, non solo una sigla, ma anche voce del verbo FARE”, si legge sulla web page che descrive la mission dell’Organizzazione, la quale si concretizza nei valori della salvaguardia, protezione e valorizzazione dei Beni Culturali e Paesaggistici.
Motivazione, passione, spirito di collaborazione e responsabilità sono le principali caratteristiche che deve avere chi lavora per un’associazione no-profit come il FAI del nostro Paese.
“Chi lavora al FAI si sente parte di una missione di portata nazionale: siamo convinti che con il nostro lavoro contribuiamo a salvare l’Italia e ci sentiamo parte di un disegno più ampio, anche se siamo consapevoli che, con i nostri 40 beni e i nostri 200 dipendenti, siamo solo una goccia nel mare […]. Inoltre in questi ambienti è difficile che ci siano richieste di aumenti di stipendio perché gli aspetti di soddisfazione legati alla motivazione e alla causa che si sostiene sono spesso più forti di quelli economici.”
A dircelo è Emilio Paccioretti, oggi HR manager dell’Organizzazione, proveniente da contesti lavorativi profondamente differenti da quelli del mondo no-profit.
“La mia scelta di entrare nel mondo del no-profit è stata essenzialmente guidata dalla curiosità e dall’idea di conoscere e sperimentare un nuovo mondo. Avevo lavorato nel pubblico, ma non in un’organizzazione come il FAI. Il nostro mestiere ha anche caratteristiche di varietà: è un lavoro trasversale e quindi lo si può svolgere in diversi settori. Così si riesce a rendere più varia la “commedia umana”: è come partecipare a 100 repliche di uno spettacolo teatrale sempre bello e sempre diverso. Nonostante cambi il pubblico, il contesto, il palcoscenico dove si recita, tuttavia la tua parte rimane sempre la stessa. Poi bisogna considerare che, come dice Marguerite Yourcenar, non bisognerebbe essere mai sazi di un essere umano […]; se da un lato nel profit conta molto il risultato quantitativo tangibile, nel no-profit è importante lo spirito con cui lavori e la qualità del lavoro che fai.”
Alla domanda su quale sia la metafora che meglio rappresenta un’ONG e il valore aggiunto del lavorare per un’organizzazione no-profit, Paccioretti risponde:
“La nostra organizzazione somiglia molto ad un ordine monastico. Lavorare nel no-profit significa lavorare in un’impresa con un fine molto nobile, dove il valore più importante è la bellezza unita alla sobrietà. Ciò si riscontra in tutti gli obiettivi che il FAI si pone […] Purtroppo però il FAI, come un ordine monastico, rischia di essere percepito come un ambiente chiuso. Chi proviene da altre culture organizzative non riesce ad inserirsi immediatamente, perché è un mondo specializzato. Ad ogni modo io, il top manager e il direttore generale, siamo convinti che bisogna fare di tutto per aiutare una persona nell’inserimento. Quando possibile, cerchiamo di far conoscere ai nuovi arrivati il contesto umano e lavorativo. Io, in particolare, ho adottato il metodo del coaching, sia per chi deve essere inserito e deve quindi capire quale sia l’ambiente in cui si sta introducendo, sia per chi è già dentro e deve essere disponibile ad accogliere e ad accettare la nuova risorsa. Come un monaco pronto a prendere i voti, allo stesso modo, chi entra al FAI deve essere pronto a sposarne le cause e condividerne i nobili scopi.”
Terminiamo la nostra intervista, chiedendo di dare un consiglio a chi, come noi, sta per introdursi nel mondo delle Risorse Umane.
“Quello dell’HR è un mestiere per certi versi difficile, perché si ci occupa sia degli aspetti positivi, che negativi della commedia umana. Io trovo conforto in due cose nel fare questo mestiere e più in generale nel vivere. Due cose che aveva tirato fuori una persona che anni fa era considerata un maestro e adesso è stato un po’ dimenticato, Silvio Ceccato, autore del libro “Ingegneria della felicità”. Ceccato dice che importanti nella vita sono due registri: amare e conoscere. Voi dovete lavorare su queste due realtà. Quando siete innamorati della vita o di una persona questo diventa un grande fattore di motivazione, come lo è di fatto anche la conoscenza“.