Articolo a cura di Giulia Pascale, Maria Erica De Sena del Master in Risorse Umane e Viviana Romano del Master in Marketing Management.
“Questa è la cosa più vicina al teletrasporto che sia mai stata inventata”: certo non capita tutti i giorni di veder attribuita una portata così dirompente a un’innovazione. E’ quello che è successo in occasione dell’avvento dei cosiddetti FabLab, di cui oggi vi parleremo. E Marco Bocola, attuale CEO di DIGITAL FABBRICHETTA, ne ha creato uno made in Italy. Giovane laureato in sociologia delle organizzazioni, lavora per anni nell’hr di alcune aziende, coltivando nel contempo la sua passione per il mondo digital e quello del design. In particolare la sua attenzione viene catturata dallo sviluppo di nuovi modelli di business nel panorama olandese, belga e inglese, dove, per l’appunto, stavano nascendo piccoli laboratori che si attrezzavano con tecnologie di fabbricazione digitale. Questi laboratori, (detti Fab-Lab dall’inglese “Fabrication Laboratory”) si caratterizzano per essere delle officine aperte, le quali offrono una serie di macchinari e strumenti di lavoro in grado di realizzare in maniera flessibile e semi-automatica un’ampia gamma di oggetti e lavorazioni, cui possono attingere diversi utenti – aziende, privati, scuole, designer, artigiani, makers, imprenditori- al fine di vedere le proprie idee trasformate in oggetti reali.
Nasce così Vectorealism: luogo d’incontro-scontro con la realtà, in cui semplici disegni vettoriali, attraverso macchine a taglio laser o stampanti 3D, si trasformano in vere opere d’arte.
Il procedimento è il seguente: basta caricare il disegno dell’oggetto sulla piattaforma online ed in poco tempo si riceve un preventivo; accettato quest’ultimo, il prodotto viene fabbricato e spedito in meno di dieci giorni.
In cosa consiste dunque la portata rivoluzionaria dell’azienda?
Anzitutto, nella profonda innovazione di processo e autosufficienza di un sistema che ha permesso di oltrepassare i confini della tradizionale fabbricazione: niente più lavorazione delle materie prime e successive fasi di trasformazione, niente più necessità di sottostare al giudizio d’idoneità di un intermediario, col rischio di sentirsi dire che ciò che si è ideato non può trovare un suo mercato di sbocco.
Alto livello di accessibilità della prassi: questo nuovo procedimento ha consentito, infatti, di abbattere le barriere che impedivano la fruizione diffusa delle tecnologie legate alla fabbricazione.
Rilevanza dell’artigianato: trampolino di lancio per tutti quei giovani designer che non trovavano spazio nell’arretrato sistema manifatturiero, la Fabbrichetta ha permesso loro di realizzare piccole autoproduzioni di prototipi esposti nella vetrina del market place, riuscendo così a trovare autonomamente il proprio mercato.
Tuttavia, ciò che ci ha colpito maggiormente è stata la spiccata dimensione sociale-collaborativa di questo nuovo modello di business: il laboratorio è inserito in un network di altri laboratori sparsi nel mondo (Nuova Zelanda, San Francisco, Londra, Berlino), in modo che ogni utente può scegliere dove far produrre il suo oggetto in base al costo e alla vicinanza (c.d. produzione distribuita). Questo processo innovativo dimostra come la sinergia di una comunità di persone ha il potere di scardinare il tradizionale sistema di coordinate spazio-temporali ed operare senza costi d’impianto.
Pur nella sua genialità, questa forma moderna di autoimprenditorialità presenta, per ora, dei limiti: anzitutto quello relativo alla personalizzazione dell’oggetto, che non può spingersi oltre un certo limite se non si vuole perdere l’identità del brand. In secondo luogo, essa rischia di restare un servizio di nicchia, poiché la realizzazione dei disegni vettoriali richiede un’alta competenza tecnica. La speranza è quella di dare la possibilità a chiunque, in un futuro molto prossimo, di poter caricare il proprio disegno senza necessità di realizzarlo in un formato particolare, tramite applicazioni idonee a convertirlo automaticamente in linguaggio vettoriale.
Nel frattempo, agli addetti ai lavori e ai curiosi non resta che rimanere connessi alla rete, dove l’associazione “Make in Italy”, come si legge sul sito, nata quale «luogo di ricerca e coordinamento d’iniziative volte a favorire la nascita di una cultura della personal fabrication attraverso la condivisione di conoscenze e connessioni», è affiancata da un’omonima fondazione, la cui mission consiste nel «supportare i makers e in particolare i FabLab italiani, facendoli crescere e aiutando chi volesse aprirne di nuovi».