Tralasciando la data in cui internet ha mosso i primissimi passi, i più individuano nei primi anni novanta il momento in cui il web 1.0 ha incominciato ad affermarsi, ovvero ad influire sul tessuto sociale internazionale. Questa fase un po’ monolitica (facile a dirsi, col senno di poi) è durata per circa un decennio, fino alla fine del secolo. Dunque si è chiuso il periodo (solo dieci anni!) dei siti web statici, che generavano un’informazione quasi monodirezionale, più simile alla televisione, a parte per il device e l’availability, che nulla hanno a che vedere con l’erede del tubo catodico. La fase 2.0 come è noto nasce all’inizio del 2000 con lo sviluppo esplosivo dell’interattività sollecitata dai social network, ma anche dalla crescita esponenziale della connettività legata a telecomunicazioni sempre più pervasive.
A queste due milestones se ne aggiunge ormai una terza, che forse è logica conseguenza delle precedenti e che ha l’autorità per prendere l’etichetta di web 3.0. Siamo passati dall’abbondanza di informazioni, per arrivare all’abbondanza o forse sovrabbondanza delle interazioni: da qui il tema dei big data e quello degli analytics che necessariamente li accompagna.
La disponibilità di dati sta aumentando in modo straordinario, a mano a mano che la tecnologia penetra sempre più nei comportamenti sociali. Facciamo un esempio: ti svegli la mattina dopo una dormita riposante, mentre un’app registra la qualità del tuo sonno. Prima di metterti in strada verifichi il meteo per non essere colto di sorpresa. In auto accendi google maps, che ti porta all’indirizzo scelto. Durante la giornata controlli l’estratto conto della carta di credito, cerchi la ricetta della cena, fai la spesa on line, utilizzando i buoni sconto su clikkapromo: tutto questo tramite le app dello smartphone. Arrivi a casa e hai il tempo di fare un po’ di running: ti connetti alla app e fai a gara con i tuoi collegamenti virtuali. Decidi che non hai voglia di cucinare e prenoti un tavolo last minute con Misiedo. Dopo cena ti rilassi un momento e prenoti le vacanze a Lisbona con Airbnb ed il volo per arrivarci tramite Skyscanner. Prima di metterti a letto, vai su Amazon per acquistare uno speaker wi-fi per godere meglio della musica archiviata nei tuoi device.
Tutte le interazioni generate nella giornata sono una fonte di dati enorme sul cliente, tanto grande che una ricerca McKinsey evidenzia una carenza, nei soli Stati Uniti, di almeno 140.000 analisti e circa 1,5 milioni di managers in grado di sfruttare il potenziale dei big data nel prossimi anni. La legge di Moore, che promette un raddoppio della potenza dei calcolatori ogni 18 mesi, spinge verso l’alto l’asticella e la scalability teorizzata da Henderson, fondatore del BCG, è confermata, per fare un esempio, dal fatto che il costo di un hard disk in grado di registrare tutta la musica del mondo è oggi di poco meno di 500 euro. Se, nello stesso studio citato, si stima che i big data aumenteranno vertiginosamente ogni anno, è facile capire che siamo di fronte ad una nuova era.
I dati analogici (carta, film, audiotape, vinile) sono saliti dal 1986 al 2007 da 2,6 a 18,8 miliardi di Gigabytes, ma i dati digitali, nello stesso periodo sono cresciuti da 20 milioni a 276 miliardi di Giga: oltre diecimila volte! Il punto è che mentre i dati analogici hanno raggiunto da tempo il loro plafond, per quelli digitali siamo solo all’inizio: si stimano già oltre 400 miliardi di GB al 2014 e per il 2020 ci si aspetta una crescita esponenziale fino a 35.000 miliardi di GB.
Del resto l’Internet of Things, con l’inserimento di sensori in ogni possibile device e con il conseguente aumento delle interazioni con i clienti contribuisce alla genarazione di miliardi di dati di uscita. In un mondo completamente digitalizzato, ogni consumatore lascia dietro di sè un digital wake che aumenta in modo esponenziale all’aumentare dei digital touchpoints. Siamo di fronte ad un punto di flesso. Secondo McKinsey, questo flesso sarà in grado di aumentare in modo drammatico la produttività in tutti i settori, dal pubblico al privato.
Una domanda chiave è come cambierà la funzione marketing. Possiamo pensare anche ad uno scenario in cui un’agenzia in grado di elaborare e sintetizzare una enorme mole di dati sostituisca la funzione marketing? Quale sarà l’impatto su alcuni modelli di business?
Comunque sia, credo sia condivisibile quanto evidenziato da McKinsey sulle aree di impatto dei big data:
- aumento della trasparenza con conseguente impatto critico sui settori che si basano su asimmetrie informative (es broker)
- aumento della sperimentazione, a causa del maggior numero di dati di feedback
- customizzazione spinta
- decision making facilitato o addirittura rimpiazzato da algoritmi
- nascita di nuovi business model (es. basati su localizzazione)
Il parere di chi scrive è che il marketing dovrà cambiare, certamente, ma che il digital divide (è proprio il caso di chiamarlo così) tra marketing tradizionale, chiamiamolo “analogico”, e digital marketing scomparirà per lasciare il posto ad una funzione che integrerà necessariamente entrambe le competenze.