Project Work a cura di Rosamaria Adelini, Matteo Carrettoni, Elisa Cocozza, Giulia Gallozzi, Pasquale Iuliano – Master Scienziati in Azienda 2017-2018
L’opera che ha ispirato il nostro project work è Nighthawks, di Edward Hopper. Il tema dominante del dipinto è la solitudine; le strade sono buie e desolate, l’unica luce proviene da un bar, dove i personaggi hanno lo sguardo perso nel vuoto, assorti nei loro pensieri come a non accorgersi di chi hanno intorno o della realtà in cui si trovano, totalmente soli e alienati. Osservando il quadro ci siamo quindi domandati se la solitudine che ha voluto ritrarre Hopper, fosse ancora ritrovabile nella società moderna, in un mondo dove le tecnologie corrono alla velocità della luce e i sistemi di comunicazione sono sempre più performanti. La risposta l’abbiamo trovata osservando e analizzando il mondo dei social, uno strumento creato per connettere le persone, che ha cambiato drasticamente il modo in cui esse si relazionano.
Il percorso del nostro progetto parte da un esperimento: esasperare la realtà proiettandola in un lontano futuro, il 2043. Abbiamo provato a immaginare gli stessi attori del quadro di Hopper in una realtà in cui la connessione è l’essenza della vita, dove le relazioni sociali nascono e si costruiscono solo attraverso chat e social network, un mondo fatto di solitudine e alienazione, privo di veri contatti umani ed emozioni. Osservando i nostri tempi ci siamo quindi domandati se siamo veramente così distanti da questo 2043, se il futuro che abbiamo ipotizzato è radicato nella realtà di tutti i giorni più di quanto abbiamo immaginato.
Il primo aspetto su cui ci siamo soffermati è il paradosso secondo il quale pur disponendo dei più potenti mezzi di comunicazione, grazie ai quali possiamo connetterci e comunicare con chiunque dovunque, la percentuale di persone che si sentono sole è sempre più alta. I social hanno cambiato le regole che governano le nostre vite, è diventato più importante condividere un post che condividere un’emozione. Se da un lato queste tecnologie ci permettono di incontrare nuove persone e tenerci in contatto con gli amici più stretti, dall’altro tendono a togliere il sapore, la genuinità e la freschezza dei rapporti interpersonali. In questo modo ci sentiamo sempre più soli e l’ansia di restare connessi è diventata una vera e propria malattia, denominata nomofobia. Il sintomo di questa malattia è un’ansia crescente e dilagante che ci porta a controllare continuamente se sono arrivate notifiche sul cellulare, se la batteria è scarica o se manca la connessione, fino a immaginarsi che il telefono vibri nelle nostre tasche. Tutto questo per non rimanere mai isolati e non perdersi nulla di ciò che accade online, dove possiamo seguire i nuovi miti dell’età moderna: fashion blogger, youtuber e social influencer. La venerazione di essi nasce dall’esigenza dell’uomo di omologarsi, di sentirsi parte di un tutto e mai escluso. Questa nuova categoria sociale, è diventata il nuovo modello di riferimento della società, che detta i trend e le mode e noi utenti proviamo ad emularli condividendo le nostre vite attraverso i tanti selfie che ogni giorno ci facciamo. Ma anche la ricerca di visibilità attraverso la condivisione di situazioni straordinarie porta al raggiungimento dell’eccesso ovvero la nascita di un fenomeno chiamato killfie: rischiare la vita per scattare il selfie perfetto.
Siamo quindi davvero vittime di un’alienazione tecnologica?
I social ci offrono una soluzione rapida e veloce, protetta da uno schermo, mentre le relazioni vere richiedono tempo e impegno, lo sforzo non solo di aprirsi a chi ci sta di fronte, ma soprattutto di guardare dentro noi stessi.
I social network però non offrono solo aspetti negativi, sono uno strumento potentissimo che permette davvero di connettersi col mondo, di reperire informazioni e dati con un click. Le possibilità offerte dai social ci consentono di comunicare e conoscere persone dall’altra parte del mondo, di condividere passioni e opinioni, di renderci davvero tutti più vicini.
Dare una soluzione univoca non è facile e forse, non è nemmeno possibile, ma non vogliamo arrivare al futuro alienato e triste che ci siamo immaginati. Bisogna essere consapevoli del potenziale dei social network, non diventandone però dipendenti, mantenendo la consapevolezza che sono solo un qualcosa in più e non un sostituto della vita vera. E’ necessario un equilibrio tra social e ciò che invece ci rende a-social, tenendo bene a mente la differenza tra la vita vera fatta di relazioni umane e i social network, che devono essere utilizzati unicamente come strumento per facilitarle e non per viverle.